“Insieme a te non ci sto piu’”: il Berlusconi di Paolo Sorrentino in “Loro”

Mentre “Il Caimano” lo trovate dappertutto (ma anche “Belluscone” di Franco Maresco), io non so come mai le case di produzione non abbiano ancora venduto a prezzi stratosferici alle piattaforme “Loro 1” e “Loro 2” di Paolo Sorrentino.

So benissimo che ci sono e ci saranno sempre quelli che diranno che Sorrentino è sopravvalutato manierista barocco ripetitivo pesante. Sono gli stessi che hanno sempre qualcosa da ridire su Chazelle o Nolan, che a quelli che pensano in grande preferiscono il film di nicchia che però ha tanto contenuto e tanta umanità, e magari il messaggio. C’è posto per tutti, vogliamo bene anche a loro.

“Loro 1”, la prima parte del film di Sorrentino su Silvio Berlusconi interpretato da Toni Servillo, è a sua volta diviso in due momenti distinti: la prima metà è il Ready Player One della politica italiana e del costume legato a quella politica, zeppo dei mostri che hanno popolato il nostro immaginario per anni e Sorrentino è il nostro Spielberg, uno tra i pochissimi in grado di farci guardare ad occhi spalancati un mondo assolutamente conosciuto, masticato, digerito e anche vomitato che fa tanto postmoderno. Pecore, lunghi carrelli in orizzontale, Mike Bongiorno, le televendite, i prosciutti, gli appalti, le donne bellissime, gli occhiali da sole, il sesso, la coca, i sofficini, i pantaloni pitonati, i talent scout, carrelli in avanti, le case in Piazza di Spagna, cammelli, emiri, un intero caravanserraglio, un rinoceronte, Kasia Smutnjak è la donna più bella del mondo, Fabrizio Bentivoglio è un ex ministro che vorrebbe fare la scalata nel centrodestra, Riccardo Scamarcio è l’imprenditore pugliese che vuole farsi notare da LUI reclutando donne belle e disponibili e tutto è velocissimo, adrenalinico, fino a quando da Roma si arriva in Sardegna, nella villa affittata davanti a quella del cavaliere, per richiamarlo con il canto di tutte quelle sirene, che sballate di ecstasy danno vita a una specie di “Non è la Rai” soft-porno quasi ipnotico.

E qui entra in campo LUI, nella quiete zen della sua villa: comincia un altro film, dove Servillo non è Berlusconi, è la maschera di cartapesta di Berlusconi, un cartonato, una figurina nel presepe. È un Berlusconi sottotono, al ribasso, non è più al governo e non se ne capacita, i giudici gli stanno alle costole, il Milan non vince più, non fa altro che lagnarsi e cercare di riconquistare la moglie. “I comunisti mi hanno scippato il governo, i miei figli le aziende, mi resta solo Veronica che mi guarda come fossi tutto il male del mondo”.

“Non mi fai ridere neanche un po’” è infatti la prima frase che gli rivolge la moglie (Elena Sofia Ricci, centratissima). Il film su Silvio e Veronica è molto bello: racconta una coppia che sta insieme da 25 anni dove mentre lui fa il buffone lei legge libri impegnati, impedisce ai nipoti di guardare la tv, e lo rimprovera per non aver mai fatto un programma culturale. Tutto il resto, il Tarantini di Scamarcio, le donne, la coca, le feste, è tutto fuori tempo massimo, tutto perdonato: “Loro”, Silvio e Veronica, sono quelli che contano davvero.

All’inizio di “Loro 2” la maschera di Berlusconi-Servillo si sdoppia in un altro personaggio che lo fronteggia, lo conforta, lo sostiene, gli ricorda tutti i suoi successi e gli suggerisce la soluzione per tornare al governo comprando i senatori che gli mancano (per compensare i 25.000 voti in meno che valgono 6 senatori, che garantiscono la maggioranza per governare), e di recuperare la fiducia degli investitori restituendo loro i soldi perduti, perché “essere buoni conviene”.
È solo il primo di una serie di piccoli sketch bellissimi, perché questo è “Loro 2”, tanti siparietti potenti tra la farsa, la tragedia e l’avanspettacolo.

Il migliore è sicuramente quello nel quale Silvio, in cerca di conferme, prende un numero di telefono a caso dalle Pagine Bianche e, fingendosi un agente immobiliare, prova a vendere una casa a una perfetta sconosciuta: questo è veramente un grande pezzo di scrittura, di teatro, di recitazione. “Io conosco il copione della vita”.

Dopo una ulteriore serie di balletti feste e cene nella villa in Sardegna, funzionali solo ad approfondire la deriva e l’affacciarsi degli scandali che dalle Olgettine arriveranno fino al compleanno di Noemi, torna Santa Veronica a metterlo in croce: rispetto a “Loro 1” la coppia ha meno spazio a disposizione ma ci regala un grande dialogo fitto delle stilettate dolenti di lei, “Volevi essere uno statista, ma sei rimasto un piazzista. Tu e i tuoi collaboratori siete un film di Totò e Peppino”, alle quali lui ribatte con una disperata vitalità, mentre continua ad incassare colpi sferrati senza pietà, dall’élite culturale (il famoso sferzante articolo di Javier Marias che lo accusava di avere un complesso di inferiorità), alla ragazza giovanissima che gli dice che gli ricorda suo nonno e che è tutto così patetico e triste e che con la tristezza non si riesce a organizzare nemmeno una s*******a, ai memorandum dei Ministri degli Esteri che gli mandano un decalogo di comportamento per i meeting internazionali.

Ma il Berlusconi di Sorrentino è come il mostro in un film horror dagli infiniti sottofinali e quindi lo sappiamo già che anche se viene colpito ripetutamente continuerà a rialzarsi: siamo agli sgoccioli, al 2008, e Silvio riesce a vincere le elezioni, a ottenere un nuovo incarico, e a tornare sotto i riflettori fasciato nel suo doppiopetto.


“La sinistra non riesce a mettermi a fuoco. Credono sempre che sia tutto così complesso”: poi tutto viene travolto da un telefono che suona a vuoto in una casa de L’Aquila, che ci ricorda subito quell’altro suono di risate intercettate. Da qui in avanti il film accelera verso una svolta lirica, crepuscolare: i siparietti si fanno sempre più amari fino ad arrivare alla delusione sul viso di Mike Bongiorno nel vedersi liquidato come nostalgia per passatisti da un 70enne, per poi giungere ad un epilogo tragico, simbolico, ancora felliniano, che è una esposizione e un tributo allo stesso tempo.

 

© Copyright 2024 Editoriale Libertà