Jerry Harrison presenta Stop Making Sense: “Riunire i Talking Heads sarebbe bellissimo”

Jerry Harrison, storico chitarrista e tastierista dei Talking Heads, ha incontrato il pubblico italiano in alcune tappe di presentazione di “Stop making sense”, con serate festose che, oltre a prevedere la proiezione del celebre docufilm diretto da Jonathan Demme («fu abilissimo a cogliere la nostra straordinarietà»), hanno regalato a numerosi fan la possibilità di incontrare Harrison, di stringergli la mano ed ascoltare i tanti retroscena della lavorazione del film, che compie 40 anni, e della sperimentale storia musicale dei Talking Heads.
«Demme registrò “Stop making sense” durante i nostri show al Pantages Theater di Hollywood (nel dicembre del 1983, ndr), pensando che non fossero necessarie interviste o backstage. Bastava la musica a dire tutto di noi… e, devo dire, a distanza di 40 anni penso proprio che avesse ragione. Eravamo fantastici!», esordisce Harrison.
Il musicista è stato ospite all’Alcatraz di Milano, nell’ambito di JazzMi 2024, dove è stato proiettato il film (tra luci particolari e possibilità di ballare) e ha dialogato con Luca De Gennaro e Tommaso Toma, soffermandosi in particolare sul restauro del film e della colonna sonora di quegli «incredibili live al fianco di David Byrne, Chris Frantz e Tina Weymouth. Penso sia fantastico presentare “Stop making sense” nei music club – ha detto Jerry, che dopo Milano è stato ospite al Vidia Club di Cesena, al M9 di Mestre, al Teatro Grande di Brescia e all’Estragon di Bologna, dove lo abbiamo raggiunto -. È una musica da dancefloor, ti viene voglia di reagire a quello che succede sullo schermo. E’ un film che ti fa venir voglia di muoverti, di ballare e, allo stesso tempo, di guardare lo schermo perché Jonathan ha catturato dei momenti particolari sul palco. Ecco perché la gente non si stanca mai di rivederlo, si scopre sempre qualcosa di nuovo».
Tantissime le immagini iconiche del film. Spiccano, in particolare, le gag di David Byrne, inghiottito dal suo “big suite” o ipnotizzato da una lampada, accompagnate dalle note di canzoni celeberrime come “Psycho killer”, “Life during Wartime” e “Once in a lifetime” «che – ha ricordato Jerry Harrison – vengono spesso utilizzate in film e in serie televisive:in un certo senso, la musica dei Talking Heads è viva e vegeta, pur essendo un classico. La cosa mi fa molto piacere».


Ma non è tutto: gli appassionati e i curiosi che non sono riusciti a partecipare agli speciali “Stop making sense party” con Jerry Harrison potranno vedere il film nelle sale da lunedì 11 a mercoledì 13 novembre, in 4K e audio Dolby Atmos 7.1 con la Cinema Experience (elenco sale su nexostudios.it e prevendite già aperte). L’invito per il pubblico sarà quello di partecipare alle serate – ideate per l’Italia da Nexo Studios e A24 con Ponderosa Music &Art, media partner Radio Capital e MyMovies – con un dress code ispirato al film e alla musica degli Anni 80 per reimmergersi nelle atmosfere di quell’ottobre 1984 in cui il film fece il suo debutto internazionale nelle sale.
La nuova edizione è completamente restaurata (la prima revisione era del 1999), supervisionata da James Mockoski – che lo ha presentato alla Festa del cinema di Roma, al fianco di Jerry Harrison – di “American Zoetrope” mentre la soundtrack rimasterizzata è stata curata dallo stesso Jerry.
«Siamo sempre stati una band che ha dato vita a una musica con una forte componente visuale», osserva Harrison.


La versione restaurata di “Stop making sense” si avvale di una tecnologia avanzata. Che ne pensa?
«La tecnologia oggi permette di proporre sia una visione che un suono davvero ottimi, fedeli a quello che abbiamo registrato e suonato nel 1983. Anzi, meglio. Siamo riusciti a recuperare il materiale originale e lo abbiamo migliorato notevolmente. Sono molto contento che il film possa essere visto anche nelle sale».

E’ vero che fu Brian Eno ad accenderle il desiderio di diventare produttore?
«Osservarlo come produttore degli album dei Talking Heads mi affascinava. Ho sempre cercato di affiancare, e di imparare, il lavoro che sia lui che gli altri ingegneri del suono facevano sulle nostre registrazioni. E’ un procedimento complesso e affascinante, di cui ho iniziato ad occuparmi a mia volta, facendolo per vari artisti (da Elliott Murphy alle Violent Femmes, dai Live a Kenny Wayne Shepherd), soprattutto dopo che David Byrne se ne andò».


Un momento difficile, inatteso. Di recente, però, vi siete rivisti tutti per alcune interviste che lanciavano il progetto in anteprima.
«Allora abbiamo dovuto fare delle scelte, non semplici, nell’immediato ed anche per il futuro. Chi se l’aspettava? Sarebbe molto bello se David oggi pensasse a una reunion, lo dico sempre quando presento il film perché vedere l’entusiasmo del pubblico durante questi appuntamenti mi fa capire che dovremmo farlo».

Dopo la Festa del cinema di Roma, dove lei e James Mockoski avete presentato il restauro del film, lo ha presentato in varie città italiane con veri e propri party. Io ho sempre colto anche un aspetto giocoso nei Talking Heads, lei è d’accordo?
«Sì, sono d’accordo. Lo si vede benissimo nei nostri concerti, anche in questo film. C’è sempre stata una forte componente teatrale e, direi, “danzante”. Aggiungo:c’era questa componente anche nel mio primo gruppo, The Modern Lovers. Mi piace l’idea che le persone possano ballare mentre scorrono le immagini e sulle nostre canzoni. Questa versione restaurata permette a tutti di entrare dentro lo show».

Gli “Stop making sense party” rappresentano ciò che accadeva quarant’anni fa, quando i party andavano molto di moda negli ambienti artistici e musicali. Che ricordo ha di quegli anni?
«C’era questa dimensione, e lo si coglie perfettamente nel film: i concerti coinvolgevano direttamente il pubblico. Un altro aspetto interessante è il fatto che, pur suonando insieme, ognuno di noi aveva il proprio momento anche per esprimersi in modo personale, come musicista. E sul palco eravamo in tantissimi! Ma se devo proprio associare un termine ai Talking Heads, non sarebbe divertimento, ma piuttosto rivoluzione».

di Eleonora Bagarotti

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