Joker raddoppia, speriamo bene
L’annuncio del sequel del Joker di Todd Phillips è arrivato tramite un paio di post su Instagram sul profilo del regista: la foto del copione “Joker – Folie à Deux” e quella dell’attore Joaquin Phoenix mentre lo legge. Come nel 2019 quando il film ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, come nel 2020 quando ha avuto 11 candidature agli Oscar, vincendo poi quello come Miglior Attore e come Miglior Colonna Sonora, si sono levati alti i lamenti della comunità cinefila contro l’ennesimo sequel di un cinecomics.
Dato il trend di questi anni non c’è da stupirsi, come non aveva senso scandalizzarsi per il successo del film originario: la figura di Joker come “agente del caos” è perfetta per accattivarsi le simpatie anarcoidi giovanili (anche le nostre, quelle residue) e il “ritratto di un killer da giovane” di Phillips, primo titolo incentrato su un villain del mondo dei fumetti ad essere totalmente svincolato dai fumetti stessi che immagina una storia totalmente originale sulle origini di Joker, mai raccontate su carta, ha colpito l’immaginario delle giovani generazioni, nella maggior parte dei casi ignare del fatto di essere diventate fan di una rivisitazione dell’immaginario dei propri genitori.
I ragazzi non lo sanno, ma il loro eroe è un classico personaggio scorsesiano che mette al posto del solito protagonista disadattato, al posto di Travis Bickle, al posto di Rupert Pupkin, uno dei più famosi villain del mondo dei fumetti. L’influenza di Scorsese, rafforzata dalla presenza di Robert De Niro nel cast e di un certo tipo di cinema degli anni’70 è chiarissima sia l’ambiente metropolitano che per il racconto della progressiva caduta del protagonista.
E quindi è inutile far finta di niente: “Joker” è un buon film, forse un grande film, con le potenzialità per diventare un classico, che viene da una sceneggiatura originale, riscritta quotidianamente sul set, che ragiona sui meccanismi del culto. Già sperimentata con enorme successo da Nolan con la sua trilogia su Batman, questa operazione di progressiva “autorializzazione” del mondo dei comics, che sono l’immaginario chiave dei nostri anni, ci regala una nuova forma per il “contenuto” Joker, dopo quelle famosissime di Jack Nicholson per Tim Burton, di Heath Ledger per Christopher Nolan e (più recente ma molto meno carismatica) di Jared Leto.
Phillips ha il merito di aver reso Joker finalmente protagonista: concentrandosi sulle sue origini e ci ha mostrato la storia di un uomo solo, malato, schiacciato dal sistema, maltrattato dalla società, che cede al lato oscuro e che, più per caso che per un’intenzione reale, si trasforma in un pazzo criminale, quello di “The killing joke” di Alan Moore e della famosa “bad day quote”, quando Joker dice a Batman: “Basta un solo giorno sbagliato per portare l’uomo più sano del mondo alla follia. Ecco quanto è lontano il mondo da dove sono io. Un unico giorno sbagliato”.
Per la costruzione di Arthur Fleck, il regista ha citato anche il famoso melodramma-horror “L’uomo che ride” di Paul Leni del 1928, tratto dal cupissimo romanzo omonimo di Victor Hugo, fonte di ispirazione per l’omicida di quel libro clamoroso che è “Dalia Nera” di James Ellroy.
“Joker” è una discesa in un abisso di disperazione: ma è evidente che quello che ha reso Arthur Fleck una nuova indimenticabile icona cinematografica è Joaquin Phoenix, magrissimo, quasi ragnesco, un clown che è paradossalmente destinato a portare gioia nel mondo, e che dal mondo riceverà solo scherno, dolore e umiliazione.
Quello che c’è di nuovo qui è che l’antieroe solitario avrà sicuramente una seconda figura, amica o antagonista o più probabilmente borderline: il sottotitolo Folie à Deux è un termine psicanalitico (lo abbiamo incrociato nella serie tv Hannibal non a caso) che sta indicare la psicosi condivisa, ovvero il trasferimento dei deliri di una persona malata a una persona sana. Un antieroe non solitario, speriamo bene.
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