Jon Bon Jovi: “Nel nuovo album Forever e nel documentario, ci raccontiamo con onestà, tra passato e presente”
Il New Jersey e l’autostrada fuori dalle finestre. E’ questo lo scorcio da dove tutto ha avuto inizio, un cuore caldo che ancora batte, caldissimo. Quell’angolo di mondo aveva visto la luce, qualche anno prima, con gli artisti di Asbury Park e naturalmente Bruce Springsteen, in particolare. «Gli dobbiamo tutto», ricorda Jon Bon Jovi, ora protagonista, con gli altri membri del gruppo, di un documentario su Disney +.
Il rock di Bon Jovi è arrivato, a metà degli Anni 80, a prendere il posto «lasciato libero» dai Van Halen, ben distante dalla E Street Band, in verità più parallelo al sound degli Europe & C. Oggi il traguardo è quello dei 40 anni di carriera e per questo Jon, disponibile con quell’attitudine professionale che rimarca una grande familiarità con i media (gioca sicuramente a nostro favore essere italiani), risponde alle nostre domande con l’affabilità che ti aspetteresti da uno come lui: è la rockstar americana che ha dato più soldi in beneficenza, tanto che MusicCares quest’anno lo ha premiato come “Person of the Year 2024”. Nei suoi ristoranti, gestiti con la moglie (unica e storica) Dorothea, chi ha difficoltà economiche, inclusi giovani e studenti, può mangiare gratis mettendosi poi a disposizione per lavare i piatti, sistemare i tavoli o dare una mano in cucina.
Insomma, anche chi eventualmente non si sia ritrovato in quel sound dei Jon Bon Jovi, o non abbia colto il sorriso sornione del frontman nei suoi film (donne, riguardatevi Moonlight and Valentino e capirete), nutrirebbe simpatia per questo professionista del rock, tornato in forma dopo un delicato intervento alle corde vocali, felice di promuovere il docufilm Thank You, Goodnight e il nuovo album Forever. Forti di queste “good vibrations”, gli spieghiamo che un contributo a quest’intervista lo ha dato Sara Bergamini, sua grande fan. «Love to Sara», dice Jon. «Our fans are a bless!»
Jon, lei è la voce del gruppo ma, come è accaduto a Roger Daltrey e a molti altri rocker, ha dovuto recuperarla dopo un intervento. Il risultato lo ascoltiamo nel nuovo album e, l’altra, dal vivo alla Rock & Roll Hall of Fame.
«E’ stato un percorso difficile, che mi ha fatto più volte pensare di smettere. Sono un perfezionista e se non fossi riuscito a raggiungere una buona percentuale di resa vocale, avrei preferito ritirarmi. Ma sono anche un combattente: prima di farlo, ce l’ho messa tutta. Mi sono affidato a professionisti e mi sono preso cura di me stesso, della mia voce e della mia salute in generale».
Una vera e propria disciplina, come si vede nel documentario. E’ tornato volentieri davanti alle cineprese?
«Essere una rockstar, a una certa età, è come essere un militare o un olimpionico. Lo sforzo è maggiore perché prima tutto, o quasi, si allineava da sé: l’energia, le condizioni fisiche, la prontezza. Io, Springsteen, Jagger… dobbiamo fare attenzione a tutto, allenarci quotidianamente. Ma ne vale la pena, sono soddisfatto del risultato. E’ stato piacevole tornare davanti alle cineprese, ma stavolta il copione ero io!».
Ad anticipare l’album, c’è stato un singolo con due parole che sembrano incidere il destino della band “Forever” e “Legendary”.
«E’ un album che, secondo me, trasmette molta positività, sia a livello di sound che di contenuti. E sì, parla di noi. E’ stato interessante scrivere nuovi brani e “sentirli”, registrarli sapendo che raccontano esattamente il momento attuale. Infatti, se da un lato abbiamo compiuto 40 anni, dall’altro siamo fortunati a vivere nel presente. Il documentario, ed anche l’album, contengono queste due anime. Una lunga storia condivisa con gli altri della band. Dopo tante vicissitudini, siamo ancora qui».
Il parere positivo sul nuovo album è pressoché unanime. Premesso che dopo 40 anni sulla cresta dell’onda non si deve dimostrare nulla, lei se lo aspettava?
«E’ stato emozionante, stiamo ricevendo tanti feedback positivi e sarei presuntuoso se dicessi che me lo aspettavo, considerando poi il fatto che si tratta del primo album in studio dopo il mio intervento alle corde vocali e un periodo buio. E’ un consenso molto importante perché rafforza l’impegno a continuare e credo che da tantissime canzoni traspaia grande sincerità e onestà. Quindi, se l’album viene apprezzato è perché chi lo ascolta prova anche affetto per noi. Cosa volere di più?».
L’amore, forse? “Kiss The Bride” è dedicata a sua moglie Dorothea…
«La donna che non ho smesso di amare né di desiderare un solo giorno nella mia vita. Mentirei se dicessi che è stato faticoso restare insieme 35 anni: non lo è stato affatto! Con quella canzone, volevo esprimere tutto questo. Lei è la mia grande fortuna, ma io sono la sua».
I valori della famiglia, il fatto che lei abbia sempre rifiutato, come il suo amico Bruce, droghe e alcol… Forse siamo un po’ di parte, ma suona tutto un po’ italiano. Del resto i fan ricordano ancora i concerti di Udine nel 2011 e Milano nel 2013, con gli stadi colorati e massicce coreografie. Una grande festa, partecipe da ambo le parti, come raramente accade.
«Ricordo benissimo, e non potrebbe essere diversamente, il calore del pubblico italiano. Per questo, ho voluto registrare per i fan italiani, e solo per loro, un invito alla visione del documentario. Se mi sento italiano? Parecchio! Il legame con la famiglia è stato fondamentale e ho avuto la rara possibilità di conoscere mia moglie e di innamorarmene proprio perché abbiamo subito avuto lo stesso background di valori. Molti di questi sono convogliati nei progetti benefici della JBJ Soul Foundation, da 15 anni a questa parte, che senza l’impegno di Dorothea non avrebbero avuto lo stesso riscontro. Con Bruce, ho sicuramente in comune gli stessi valori, le radici italiani pulsano e si fanno sentire! E’ stato bellissimo condividere il palco, ancora una volta, alla cerimonia del MusicCares. Un modo per ribadire, proprio come con i concerti italiani con la band, che suonare è ancora, e sempre, una grande emozione. Se lo percepissi solo come un lavoro – anche se lo è ed è anche molto impegnativo – in modo “freddo”, avrei da tempo cambiato mestiere».
di Eleonora Bagarotti
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