La fine del Regno di Lars Von Trier
Lars Von Trier è malato. Oltre all’annuncio ufficiale (soffre di Parkinson) di qualche settimana fa è apparso in video alla proiezione ufficiale a Venezia 79 della terza e ultima parte della sua serie tv di culto degli anni’90 “The Kingdom” ed è sembrato piuttosto sofferente.
Potrebbe essere l’ultimo suo lavoro che vediamo su grande schermo questa “The Kingdom: Exodus” ed è piena di bellezza, intelligenza, orrore e umorismo e mi ha fatto venire voglia di recuperare subito le prime due stagioni.
Se Exodus é davvero L’orazione funebre di Von Trier, è un’uscita in grande stile: i cinefili si aggiravano per il Lido urlando GENIO e questa volta (o anche questa volta, nel caso di Von Trier) lo urlano giustamente.
La serie parte rinnegando il finale precedente, sbeffeggiando lo stesso regista per come aveva chiuso la seconda stagione. Un escamotage meta-cinematografico che per cinque ore (tante sono le puntate della mini serie) riporta lo spettatore dentro il famoso ospedale danese, corpo sotterraneo fatiscente e sofferente che in carne e ossa occupa le stanze, i corridoi e i sotterranei del Regno.
In questo luogo costruito sulla palude degli stagni del candeggio abita il male, ci ha sempre abitato, ma gli spiriti cercano pace e hanno il loro modo di farlo saper a fidati messaggeri, in questo caso la dolce sonnambula Karen.
Il più grande regalo che Von Trier poteva farci è stato proprio “restituirci” tutto quello che abbiamo amato negli anni di questa saga folle. Continua ad essere esilarante la contrapposizione tra Svezia e Danimarca, dove il favoloso dottor Elmer che saliva sul tutto di notte a urlare il suo disprezzo verso i “danesi, canaglie pezzenti” e inneggiando alla volvo, al tetrapak e a borg, trova un perfetto erede nel figlio Elmer Junior, ossessionato anche dai nuovi approcci al gender.
Torna il commento del coro dei lavapiatti inermi che ascoltano tutto quello che succede nel Regno, l’operazione “Porte aperte” sostituisce la famosa “Aria del mattino”, turisti giapponesi visitano il set della seconda stagione “che non ha avuto tanto successo”, e il regista danese mescola con estrema sapienza orrore, metacinema, autocelebrazione, etero celebrazione e situazioni pazzescamente esilaranti. Intanto la porta del Regno si sta aprendo di nuovo.
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