La musica di Charlie Chaplin, dal cinema muto al sonoro
La vita è ironica e Charlie Chaplin probabilmente lo sapeva anche il giorno in cui vinse il suo Oscar, non come regista-attore-sceneggiatore, ma come compositore del film “Luci della ribalta” per la Miglior colonna sonora nel 1972. Si trattò del primo caso di Oscar retroattivo poiché il film era stato realizzato vent’anni prima. Tuttavia solo all’inizio degli anni Settanta gli Stati Uniti iniziarono a riabilitare la sua figura. Com’è noto Chaplin, inglese di nascita, a un certo punto venne accusato, tra le altre cose, di antiamericanismo e divenne uno dei bersagli preferiti del senatore di ferro Joseph McCarthy. Quindi si trasferì in Europa.
Ma non è di questo che voglio parlare in queste righe, partendo dal fatto che la vita e la carriera, ma ancor più il Genio di Chaplin, rappresentano argomenti troppo ampi per un blog. Piuttosto mi piace ricordare che, essendo lui figlio di due cantanti (nonostante un’infanzia che definire tragica sarebbe un eufemismo), tra le doti artistiche Chaplin possedeva l’orecchio assoluto e imparò da solo a suonare il pianoforte e il violino. Citando un celebre passaggio autobiografico: “Per abbinare il sonoro alle immagini, la musica doveva fungere da contrappunto”. Non inseguire la comicità della scena – che, peraltro, nei film di Charlot ha sempre avuto un’indole profondamente malinconica – ma sovrapporle uno “strato sentimentale”.
Riascoltando i brani più celebri che Chaplin scrisse, dapprima pensandoli dentro le scene dei suoi film, si coglie quanto, pur nei riferimenti a grandi autori classici e non solo, nulla resti approssimativo. Un altro concetto-chiave è infatti la struttura generale della narrazione cinematografica attraverso la musica. Chaplin aveva il senso della melodia, amava un utilizzo orchestrale ampio, come Wagner e i Russi, e sapeva come far risaltare un coro.
Charlie Chaplin non era Leonard Bernstein, ma piuttosto un uomo di Cinema, che concepiva il suo lavoro come completo e, per completarlo, doveva esserci anche la sua musica. Quella che curava e dirigeva e ascoltava – prova dopo prova – continuamente, in nome di quel perfezionismo ricercato e infine trovato. Uno dei rarissimi casi in cui, lungi dal risultare freddo, quel fine sapeva di spontaneità e, soprattutto, di poesia.
Chaplin amava la musica e ascoltava di tutto. Anche per questo, le sue citazioni sul pentagramma risultavano perfette, non ridondanti, che si trattasse di “Tempi moderni” o de “Il grande dittatore”. Charlie Chaplin era un musicista sensibile, sapeva come esprimere il senso di appartenenza alla patria attraverso un suono di fanfara oppure come richiamare il tocco sottile di timido innamoramento con un invito a sorridere sempre. “Smile”. Anche quando gli altri ti cacciano via.
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