Le canzoni nate da un sogno che continuano a farci sognare
Sarà che la luce delle giornate di questa fine agosto va affievolendosi sempre più, vien voglia di sognare. Il blog questa settimana è dedicato alle canzoni nate da un sogno, che tanti sogni ad occhi aperti ci hanno instillato nel corso del tempo. Sono solo una manciata, vi invito a segnalarmene altre.La genesi di queste canzoni è sempre curiosa. A partire dal celebre riff del grande successo dei Rolling Stones “(I can’t get no) Satisfaction“: Keith Richards si trovava in una stanza d’hotel e, dopo una dormita, accese il registratore per immortalare ciò che gli era venuto in mente in fase onirica. Il chitarrista aggiunge ai suoi ricordi un bel po’ di ironia spiegando come, ascoltando più tardi il nastro registrato, si ritrovò infine 2 minuti di riff e 40 di russamenti poiché si riaddormentò quasi subito.
Nel frattempo anche dall’altro lato della luna, in casa Beatles, non si scherza: Paul McCartney compose l’intera melodia di “Yesterday” in sogno. La cosa gli sembrò talmente incredibile che, successivamente, la fece ascoltare al produttore George Martin & compagni per chiedere di quale canzone si trattasse. “Era bellissima, perfetta, ma per un mese rimasi convinto che esistesse già. George mi confermò che l’avevo scritta io, in sogno” raccontò Paul.E come non ricordare di quando mamma Mary, qualche anno dopo, gli parlò dall’aldilà in sogno ispirandogli un altro grande classico, “Let it be“. E, soprattutto, John Lennon: il tema del sogno ricorre in moltissime sue canzoni, così come il numero 9, significativo e ricorrente nella sua esistenza, che ritroviamo nel titolo di “Dream #9” (dal suo album solista “Walls and Bridges” del 1975).
Ci sono poi sogni che rasentano la fantascienza, come quello dell’ex Genesis, Peter Gabriel, che nel 1986 scrisse l’ipnotica “Red Rain“, tratta da un sogno ricorrente in cui lui nuotava in piscina bevendo vino rosso e poi vedeva bottiglie a forma di persone che cadevano giù da una scogliera. Sta di fatto che il brano finì per parlare della situazione che stava vivendo l’umanità durante la Guerra Fredda e, purtroppo, quella sensazione viscerale è sempre attuale.
Simili sensazioni, con stile opposto e riferimenti culturali precisi, si ritrovano in “It’s the end of the world as we know it (and I feel fine)” dei R.E.M., brano ispirato sia a “La guerra dei due mondi” di Orson Welles che ad un sogno fatto da Michel Stipe nel quale si trovava a una festa con Lester Bangs, Lenny Bruce ed altri invitati le cui iniziali dei nomi erano sempre L.B. Insomma un pesce fuor d’acqua, Stipe, che di sogni però se ne intende, dato che il nome della band americana si riferisce al “rapid eye movement” ossia alla fase del sonno in cui si sogna.Sogni d’oro e buona musica, sempre.
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