Le figure paterne eroiche da Kratos a Winters trionfano nei videogiochi

Quando pensiamo ai personaggi dei videogiochi, i padri non sono probabilmente la prima cosa che ci viene in mente. Eppure il medium è pieno di figure paterne. Nel 2010, il giornalista Stephen Totilo di “Kotaku” ha pubblicato un articolo intitolato The Daddening of Video Games, in cui segnalava un presunto processo di dadification in corso. Non c’è un esatto corrispettivo in italiano, si potrebbe dire che siamo davanti a una “padrificazione” dei personaggi videoludici. Sempre più spesso, dice Totilo, i protagonisti di molti videogiochi di successo sono dei padri, biologici o adottivi. Questa trasformazione sarebbe legata alla trasformazione dell’audience di riferimento. Molte persone che hanno iniziato a giocare negli anni ’80 e hanno portato avanti questa loro passione sono infatti cresciute, hanno messo su famiglia e hanno avuto dei figli. Per cui si sarebbe ridimensionato il tempo dei ragazzini, dei protagonisti adolescenti. L’età media di chi gioca ai videogiochi (anche in Italia) è più di trent’anni e i personaggi rispecchiano questa trasformazione.

Per cui, per esempio, il brutale guerriero Kratos di God of War torna nei nuovi episodi della serie accompagnato dal figlio. Nel popolare The Last of Us – da cui hanno tratto l’omonima serie tv si assiste al rapporto tra Joel ed Ellie: non hanno un legame di sangue, ma il primo è come un padre per la seconda. In Resident Evil: Village il protagonista Ethan Winters deve salvare sua figlia Rose, rapita da un gruppo di mostri. Questi sono alcuni degli esempi citati più spesso.

In passato invece si giocava prevalentemente nei panni del figlio (o della figlia) di qualcuno. A volte bisognava andare in cerca del padre scomparso. A volte si seguivano le storie di un orfano (per cui, con un padre presente nella sua assenza). In altri casi ancora bisognava ribellarsi alla figura paterna di turno, affrontandola in un confronto dialettico o fisico. Poi le cose sarebbero cambiate. Questo, almeno, è quel che sostengono i promotori della dadification. A ben vedere infatti, questa trasformazione è meno forte di quel che potrebbe sembrare. Articoli come quello di Stephen Totilo vanno infatti a osservare un ristretto gruppo di videogiochi, principalmente i grandi “tripla A”, ovvero quelle produzioni particolarmente costose, che potremmo definire i blockbuster del mondo videoludico. Certo, sono i più noti e chiacchierati, ma se si sposta lo sguardo altrove, ci si rende conto che il mondo indipendente è da sempre assai più variegato.

Inoltre, questo immaginario paterno è solo in apparenza recente anche se si osservano i videogiochi più famosi. Possiamo prendere l’esempio del primo Resident Evil, pubblicato nel 1996. Come sottolineato dal ricercatore Christopher Alton nella sua tesi di dottorato, questo è uno dei tanti videogiochi che già presenta questo rapporto paterno, ben prima della presunta dadification. Il protagonista maschile di Resident Evil, Chris Redfield, si comporta infatti come un padre nei confronti della più giovane collega Rebecca Chambers.

La protagonista femminile, Jill Valentine, agisce invece come una figlia rispettosa quando parla col collega Barry Burton (che è peraltro padre di due bambine). Insomma, i protagonisti maschili sono spesso padri (o si comportano come tali). Le protagoniste femminili rimangono spesso delle figlie.

di Francesco Toniolo

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