Le otto montagne ovvero due di due


Mentre siamo nel cuore del Festival di Cannes 2023 è arrivato su Sky il vincitore del Premio della Giuria del Festival dello scorso anno, “Le otto montagne” dei registi belgi Felix van Groeningen (regista di “Alabama Monroe” e “Beautiful boy”) e Charlotte Vandermeersch, che, dopo una stagione di grandi incassi (oltre sei milioni di euro in Italia) e il recente approdo sugli schermi americani, ha portato a casa anche quattro David di Donatello, tra i quali quello come Miglior Film.

 


Tratto dal romanzo omonimo di Paolo Cognetti, vincitore del premio Strega 2017, il film ha il suo grande punto di forza nella riunione di Luca Marinelli e Alessandro Borghi che alla premiazione dei David ha trascinato Marinelli, registi e staff in un girotondo di abbracci, ricordando a tutti perché vogliamo loro così bene: “Fare questo film è stato un regalo incredibile per la mia vita: è stato meraviglioso incontrare Felix, Charlotte e Paolo Cognetti e condividere questa cosa con mio fratello, Luca Marinelli”, ha commentato l’attore. Sono loro, i fratelli di “Non essere cattivo”, che rendono potente e universale questa storia di amicizia nata tra due bambini durante un’estate: Pietro è un ragazzino di città, e in montagna ci va solo per le vacanze, Bruno invece vive e cresce nello stesso sperduto villaggio. Negli anni, Bruno (Borghi, che sembra nato per essere l’omo servadzo) rimane fedele alle sue montagne, mentre Pietro (Marinelli) è quello che va e viene.

 


“Le otto montagne” è stato girato in un formato che ricorda quello delle vecchie diapositive, adatto a raccontare gli spazi, i luoghi e i momenti di una storia che è lunga vent’anni ma è quasi senza tempo. In un’epoca in cui si parla molto di sorellanza e solidarietà femminile, mette in scena una storia maschile di fratellanza dal taglio malinconico e burbero, senza un’ombra di machismo. E poi c’è Elena Lietti, e io sono un po’innamorata di Elena Lietti.

 


Non sono mai stata appassionata di montagna, mi affascinano gli spazi orizzontali, il mare, il deserto, le piazze, e non quelli verticali, e i registi hanno trovato la misura giusta per farsi apprezzare sia dallo spettatore comune che da un fanatico di arrampicate: c’è la montagna (è girato sulle Alpi) ma non c’è eccessiva epica della montagna (c’è anche quella parte poco riuscita sul Nepal, vabbè).
E quindi, conquistata dalla non-epica della montagna, ho letto il libro di Cognetti, Premio Strega, tradotto in 35 paesi (ma non 190, per tornare a Elena Lietti) e ho pensato che altro che quattro sono le storie del mondo, sempre la stessa storia continuiamo a raccontarci, due di due.

 

 

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