Maledetto “Caligola”! Non c’è pace per il porno kolossal ripudiato da Tinto Brass

 

Tinto Brass sul set con Helen Mirren e Malcolm McDowell

Storia pazzesca quella di “Caligola”, al centro di una guerra cinematografica iniziata quasi 50 anni fa. Con le riprese di Tinto Brass, ora il produttore esecutivo Thomas Negovan ha preparato un nuovo film di circa tre ore, subito ripudiato dal maestro dell’erotismo. «Dopo numerose e infruttuose trattative nel corso degli anni, dal materiale da me girato, rinvenuto negli archivi della rivista Penthouse, è stata realizzata una versione alla quale non ho preso parte e che sono convinto non rispecchierà la mia visione artistica», ha tuonato il regista novantenne in lotta da una vita per difendere il suo film del 1979, scritto da Gore Vidal. L’attrice Mirella D’Angelo – che nel kolossal oltrecensura interpreta Livia, giovane sposa abusata dal folle imperatore con il volto di Malcolm McDowell – è volata a Nantes, in Francia, per l’anteprima di “Caligula: the ultimate cut”.
«Il salto nel passato, rivedere tanti artisti che purtroppo non sono più tra noi, è stato emozionante – conferma D’Angelo – . La compianta Teresa Ann Savoy così bella e dolce, Adriana Asti giovane e sexy, Helen Mirren conturbante e poi la mia Livia vellutata e morbida, molto più nuda stavolta. Lo sguardo di Tinto ci aveva davvero colte nel pieno della bellezza».

Mirella, andiamo subito al sodo. L’ha soddisfatta questa revisione?
«Quando sono stata contattata via mail nel 2020 da Negovan ho pensato che finalmente avremmo avuto un “Caligola” più vicino alla visione originale di Brass. In questo “ultimate cut” manca quel mix di follia dato dallo scontro/incontro di talenti inconciliabili come quello di Brass, di Vidal e pure del produttore Bob Guccione. Negovan punta tutto su McDowell, sembra quasi la visione di un fan. Ha allungato certe scene, ne ha eliminate altre. Più interessante il recupero di alcune sequenze inedite. Però resto perplessa, ecco. Si chiama “ultimate”, eppure non c’è nulla di definitivo. Negovan avrebbe dovuto coinvolgere Brass, la possibilità c’era, questo lo so per certo. Peccato».

Per il suo personaggio cambia qualcosa?
«La terribile “benedizione” di Caligola agli sposi Proculo (Donato Placido, fratello di Michele, ndr) e Livia, consorte martoriata dal potere, adesso ha uno spazio ancora più importante. La sequenza è divenuta decisamente cruenta, alcuni spettatori a Cannes non hanno retto abbandonando la proiezione. Girare una scena come questa, avevo appena vent’anni, aveva richiesto molto coraggio. Ma è un passaggio necessario alla narrazione, a comprendere il messaggio politico che Brass aveva in mente».

Mirella D’Angelo nella scena delle nozze “rovinate” da Caligola

McDowell non è mai stato tenero con “Caligola”: ora pare abbia cambiato idea…
«Ci credo, sta sullo schermo per tre ore! Ne sarà rimasto lusingato. Questo cut resta un’occasione persa. Tra l’altro il cast italiano – artistico e tecnico – ne esce a pezzi, in barba ai contratti dell’epoca, con i nomi relegati ai titoli di coda, minuscoli, dopo 173 minuti. Stiamo parlando di attrici e attori come Adriana Asti, Paolo Bonacelli e Leopoldo Trieste. Un’offesa al lavoro epico fatto agli studi Dear di Roma».

Ci furono tensioni sul set?
«Quando girammo nel 1976 filò tutto liscio. Tra Tinto e McDowell l’intesa era totale. Poi io partii subito per l’Actors Studio a New York e per girare in Malesia “La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa!”, sequel del celebre sceneggiato. I guai credo iniziarono dopo, tanto che il film è uscito tre anni più tardi. Negli Stati Uniti, tra l’altro, esplose ai botteghini. Il mio amico musicista Claudio Simonetti (fondatore dei Goblin, ndr) ricorda la fila per entrare in sala nella Grande Mela. Il produttore Guccione, editore di “Penthouse”, aveva fatto le cose in grande per l’uscita americana, puntando molto sul sesso.

Lei dove vide il film?
«In un cinema a Londra e ci rimasi male per gli inserti hard. Io avevo il ricordo di un set con atmosfere felliniane, non orgiastiche. Un film dal cast straordinario, con tecnici di prim’ordine e un budget stellare. Purtroppo negli anni è stato tagliato e rimontato in tutti i modi possibili, ricordo una versione in dvd inguardabile, incomprensibile».

Il manifesto originale

Con Brass si è trovata bene?
«Benissimo! Quando Tinto mi ha chiamata avevo già visto i suoi film precedenti e lo apprezzavo come regista. Il reciproco rispetto dal primo incontro è proseguito per tutta la durata delle riprese. Un’intesa perfetta, mai sentita una volgarità. Lui sempre delicato, corretto e gentile. Oltre alla grande professionalità, gli riconosco una cultura profonda e una intelligenza particolare. Gli sono affezionata, anche se non ci siamo più incrociati professionalmente. Mi sentivo di essere davanti a un regista importante».

E con McDowell?
«Pure lui sempre carinissimo con me, è stata la star di “Caligola” con cui ho girato di più. Assieme abbiamo dato vita a una delle sequenze più scioccanti del film, quando il tiranno impone lo “ius primae noctis” a entrambi gli sposi. Malcolm chiedeva sempre scusa, molto educato e delicato».

Come arrivò ad ottenere il ruolo?
«All’epoca vivevo a Parigi e ho saputo che la parte sarebbe stata mia dopo tre mesi dal primo incontro con Brass. Infatti pensavo che non mi avessero presa! Poi ho rincontrato Tinto a Roma e lui mi disse subito: “Sarai tu Livia”. Su 200 aspiranti, in quei novanta giorni di ricerche, l’avevo spuntata proprio io. In seguito ho saputo che è stato il regista Marino Girolami a segnalarmi a Brass. Gli mostrò il girato di “Italia a mano armata”, il poliziesco dove io interpretavo il ruolo di Luisa».

“Caligola” ha favorito o rallentato la sua carriera artistica?
«Sui giornali e nell’ambiente del cinema non si parlava d’altro. Il nostro film era davvero al centro del mondo, avevamo tutti i riflettori puntati. Un’esposizione mediatica eccezionale per una giovane attrice come me. Purtroppo le battaglie legali, i sequestri e le scene hard aggiunte hanno finito per raffreddare gli entusiasmi. Ma io ormai non ero più Livia, stavo già sul set diretta da Federico Fellini (“La città delle donne”, ndr) e subito dopo in Francia con Jean-Paul Belmondo (“Le guignolo”, ndr). Non rimasi certo ingabbiata nella parte di Livia. Tutto sommato direi che “Caligola” alla fine ha favorito la mia carriera. E’ divenuto un cult, siamo ancora qui a parlarne dopo quasi cinquant’anni».

La copertina di Penthouse dedicata a “Caligola” con Mirella D’Angelo

Gli americani le dedicarono pure una copertina …
«Nel maggio 1980 la rivista “Penthouse” arrivò nelle edicole con un inserto dedicato all’uscita negli Usa di “Caligola”. Vedermi in prima pagina fu una sorpresa, non capivo perché gli editori americani tra tante attrici coinvolte nel kolossal di Brass avessero scelto proprio me. Probabilmente per la mia romanità, in effetti ero l’unica italiana. Sapevo che sarebbero state foto artistiche, dietro l’obbiettivo c’era un maestro come Eddie Adams. Ho posato con tutti i costumi delle protagoniste del film, avevamo il set di Danilo Donati e il fior fiore delle maestranze a disposizione. Adams mi ha reso una dea luminosa, l’immagine è diventata simbolo di “Caligola”, tra poster e copertine dei dvd. In seguito ritrovai Eddie a New York per un servizio di moda».

 

Si è mai pentita di aver partecipato a “Caligola”?
«Le scene aggiunte delle orge mi avevano infastidito, anche se non mi riguardavano direttamente. C’è stato un periodo in cui, sotto sotto, un po’ mi vergognavo di aver girato il film. Poi ho incontrato sempre più persone – tra cui una celebre fotografa – che amavano la pellicola. Così ho iniziato a rivalutarla, a guardarla con un occhio diverso».

E’ arrabbiata per la nuova versione?
«Ha fatto bene Tinto a dissociarsi. È uscita al cinema in Usa e Gran Bretagna in un circuito limitato di sale, ha riacceso i riflettori sul nostro lavoro, però in questo modo non ci sto. Mi allungano la scena a poi mettono il nome alla fine e in piccolo? Questo “ultimate cut” è irrisolto: circolerà in bluray, ma a mio avviso avrà sempre bisogno di essere abbinato alla prima versione originale. Da solo non esiste».

di Michele Borghi

© Copyright 2024 Editoriale Libertà