«Mio papà Bud Spencer e quel piccolo alieno che arrivò prima di E.T.»
Qualcuno dirà che sono tutte balle spaziali. Però la favola dell’alieno buono dimenticato sulla Terra approdò nei cinema molto prima di “E.T. – L’extra-terrestre”. Mi spiego meglio. Bud Spencer e il mini divo Cary Guffey giocavano con gli ufo già nel 1979 in “Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre” di Michele Lupo. Il capolavoro di Steven Spielberg uscì solo nel 1982. Se poi aggiungiamo che Guffey era stato alla corte del re di Hollywood per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (1977)… «Sono coincidenze che fanno pensare. Circolava la voce, mai comprovata, che Spielberg avesse visto il film con Bud Spencer “più extra che terrestre”. E se riassumiamo la trama, il soggetto sembra proprio lo stesso di E.T.», sorride Giuseppe Pedersoli, figlio di Carlo, il mitico Bud.
Giuseppe, lo “Sceriffo extraterrestre” a settembre compie 45 anni tra l’altro portati benissimo…
« È una favola sempre godibile, molto poetica. All’epoca ero pure stato sul set. Da ragazzino raggiungevo spesso papà sul lavoro durante le vacanze scolastiche. Girammo negli Usa, a Monroe, in Georgia. Un’esperienza formidabile, l’atmosfera era piacevole. E il bimbo, che inizialmente si atteggiava a star, si adeguò alla svelta al clima familiare».
La coppia sceriffo/bambino funziona molto bene.
« Il film infatti andò benissimo, uscì praticamente in tutto il mondo. Non credo fosse previsto il sequel, ma la risposta del pubblico convinse i produttori a concedere il bis con “Chissà perché… capitano tutte a me” l’anno dopo».
Bud girava un film dietro l’altro.
« Proprio così. Era tutta una rincorsa ad accaparrarsi lui e Terence Hill, anche singolarmente quando non giravano in coppia. Finivano una pellicola e iniziavano subito la successiva. Soprattutto per questo motivo avete raramente sentito Bud con la sua vera voce. Mio padre in giro per il mondo recitava in inglese per le vendite internazionali, così non aveva il tempo materiale di tornare a Roma per doppiarsi. Per fortuna i professionisti che curavano le versioni italiane hanno dato un valore aggiunto alla coppia, rispettando la loro mimica. Terence era bilingue, ma mio padre ricorreva al “dialogue coach”. Comunque i doppiatori hanno fatto un ottimo lavoro».
Suo padre si trovava a suo agio tra ufo, alieni e raggi spaziali?
«Non credo che Asimov e la fantascienza fossero la sua passione, tuttavia papà aveva una mentalità molto aperta, si interessava a tutto. Era piuttosto un autentico esperto di aviazione e di volo. In quel periodo prese un ulteriore brevetto per pilotare gli aerei. Inoltre accarezzò il sogno di costruire un piccolo aeroporto nella zona della Georgia dove giravamo».
Ci riuscì?
« Lui era un estimatore degli aerei Partenavia e sognava una partnership con gli americani. Aveva già acquistato una striscia di terra per fare la pista, quando le autorità americane misero i bastoni fra le ruote. Arrivarono strani personaggi a fare un mucchio di domande, erano gli anni di Pablo Escobar e dei voli della droga. Mio padre si spaventò, lasciò perdere e cedette il terreno».
La stupisce che “Uno sceriffo extraterrestre” sia diventato un cult?
« No, perché il film funziona ancora bene come favola per tutta la famiglia. E poi i fratelli De Angelis hanno regalato una colonna sonora memorabile. Ci sono gag debitrici delle comiche di Stanlio e Ollio (citati esplicitamente con lo sketch del polliceaccendino, ndr) e del cinema muto. In tv passa un ottimo master restaurato, al contrario di altri titoli di mio padre che avrebbero bisogno di una rinfrescata, anche come audio. Io non sono il produttore, ma fossi in loro investirei su queste pellicole che dopo mantengono il loro appeal».
Bud Spencer sembrava divertirsi parecchio davanti alla macchina da presa con i bambini…
«Con lo sceriffo extraterrestre fu un’esperienza assai buffa, mio padre rise parecchio. Guffey era gelosissimo della sua roulotte personale, nessuna poteva entrare nemmeno la madre e stava sempre a “studiare la parte”. Peccato che sui set di mio padre l’atmosfera fosse totalmente anti-divistica, tra goliardia e spaghettate. Dopo qualche pastasciutta, il bimbo si sciolse e la freddezza iniziale divenne complicità. Come dimostrano le numerose scene emozionanti del film».
Bud in questa pellicola non recita con il sodale Terence Hill. Si è scritto molto del loro rapporto. Come andò realmente?
«La ringrazio per questa domanda, mi dà l’occasione per fare chiarezza. Mio padre e Terence si stimavano moltissimo, umanamente e professionalmente. Avevano entrambi una vita privata molto riservata e fuori dal set si vedevano poco. Tutto qui. Mi è spiaciuto vedere speculazioni e inesattezze su alcune testate. Tra loro c’era un’alchimia speciale, nessuno può metterlo in dubbio ».
Lei è regista, produttore e sceneggiatore: a quali progetti sta lavorando?
« Ho diretto il docufilm dedicato al navigatore Giovanni da Verrazzano che 500 anni fa “scoprì” la baia di New York. Uscirà ad aprile. Come produttore sono invece impegnato nella serie che rilancerà Piedone. Eh sì, torna il commissario Rizzo».
di Michele Borghi
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