Mondi fantastici in 3D, il mago piacentino degli effetti speciali dà forma ai sogni di Hollywood
Supereroi invincibili, mondi immaginari e armi dal futuro. Fabrizio Arzani si diverte un sacco a dare forma e colore alle fantasticherie di Hollywood.
Il “mago” piacentino degli effetti speciali dal 2022 vive e lavora in Nuova Zelanda, alla corte di sua maestà Peter Jackson, regista pluri-Oscar della saga “Il signore degli anelli”.
Per inseguire i suoi sogni, cullati fin dai tempi del liceo Cassinari, il 39enne cresciuto a piazzale Marconi, dopo la laurea in Scienze dei Beni culturali alla Statale nel 2009 era volato a Londra per imparare i segreti degli effetti visivi digitali.
Grazie alle meraviglie della grafica 3D, oggi Fabrizio “scolpisce” e colora creature fantastiche o veicoli usando il mouse al posto di scalpello e pennelli. Controllate pure, basta scorrere i titoli di “Guardiani della Galassia Vol. 3” o di “The Last of Us”, tanto per citare i lavori più recenti.
Una magnifica storia iniziata nella nostra città negli anni ’90, come racconta lo stesso Fabrizio: «A casa hanno sempre sostenuto il mio percorso artistico: mamma Dalila in passato è stata una musicista, papà Claudio scrive libri e poesie con un discreto successo in ambito locale e non solo. Ergo, mentre tutti volevano fare gli artisti e venivano spinti dai genitori a fare i dottori, a casa mia funzionava al contrario. Ogni scelta quindi, sia per me sia per mio fratello Edoardo (grafico ed ex colorista alla Bonelli Editore), veniva presa in quella direzione: il conservatorio Nicolini alle medie per sviluppare sensibilità e conoscenza musicale; il liceo artistico con indirizzo figurativo per sviluppare quella pittorica; Beni culturali con indirizzo cinema, musica, teatro a Milano, perché la cultura storica e filosofica sono importanti».
Gavetta a Piacenza, immagino…
«Esatto. Ho iniziato prendendo confidenza con telecamere e moviole, lavorando sodo – spesso non retribuito – con la promessa che un giorno la passione avrebbe ripagato. Era un buon passatempo, mentre investivo le mie ore libere in studio ed approfondimento o progetti indipendenti con cui partecipare a concorsi di regia in giro per l’Italia».
Prime soddisfazioni?
«Con il corto “Prosit” ho portato a casa la menzione speciale del “Pesaro Horror Fest” ed è stato il lasciapassare per il corso di regia al laboratorio Farecinema di Marco Bellocchio nel 2008 a Bobbio. Affrontava il tema dello sballo del sabato sera ed era sostenuto da Lila – Lega lotta contro l’Aids e dall’assessorato alle Politiche giovanili di Piacenza con Sert e Regione Emilia Romagna. C’erano le musiche del mio carissimo amico Gabriele Minuta, purtroppo scomparso prematuramente».
L’anno della svolta invece?
Quando, convinto di non aver più nulla da dare gratuitamente e volendo conoscere di più, a 25 anni mi sono spostato a Londra per studiare “Visual Fx”, ovvero effetti visivi, agli Escape Studios. Da lì sono entrato nel mondo delle produzioni ad alto livello».
Subito dalla porta principale…
«C’è stata un’evoluzione, dopo i primi passi improntati su regia e scrittura. A Piacenza mi occupavo di corti, mediometraggi, documentari, broadcasting e pubblicità. L’approccio al 3D ed agli effetti speciali è arrivato dopo, perché era l’unica lacuna che avevo in termini di conoscenza tecnica. Il mondo che mi sono trovato davanti era a dir poco sconfinato e demiurgico, da lì è nata una passione poi sfociata in professione vera e propria».
Se dovesse spiegare il suo lavoro attuale?
«Da un punto di vista tecnico la mia attività è varia: passo dallo scolpire e colorare con il computer vari elementi (personaggi, scenografie digitali, veicoli o armi) che poi vengono inseriti nel film. Oppure assemblo ambienti digitali che non esistono nella realtà, li illumino e consegno il tutto ad un dipartimento di animazione che si occupa di dar vita ai personaggi all’interno. Ricoprendo una posizione da “lead”, sono responsabile di una squadra di tecnici ed artisti che guido per consegnare le scene richieste dai registi. Valuto le richieste della produzione, identificando il flusso migliore per portare a casa il lavoro nei tempi richiesti, con la qualità top. Se necessario, formo io stesso gli artisti in merito alle tecniche da utilizzare».
A casa saranno orgogliosi di lei…
«Come dicevo, la famiglia mi ha sempre sostenuto. Sono stati molto comprensivi ed incoraggianti. Ma, dopo la laurea, tutte le mie scelte sono state autonome e guidate da necessità ed interessi lavorativi, a mano a mano che mi facevo strada: i corsi di regia e scrittura, la computer grafica, gli studi a Londra».
Volare dall’altra parte del mondo, a quasi 20.000 km da casa, non deve essere stata una decisione facile da prendere…
«Di sicuro lo sforzo più grande riguarda la sfera emotiva: il distacco da famiglia e amici, dalle radici e dai ricordi. Le paure erano state affrontate anni prima, con il trasferimento londinese. Mentre per la Nuova Zelanda il copione era già tutto rodato».
Da un paio d’anni lavora a Weta, la società fondata da Peter Jackson. Un sogno che si è avverato?
«Sicuramente, anche se alla lunga tutto diventa semplicemente il tuo lavoro. Partire da umili origini e ritrovarsi nel più grande colosso del settore è un grande riconoscimento, un traguardo notevole. Appena sbarcato a Wellington, al quartier generale di Weta, mi sono ritrovato nel mondo di “Avatar 2: La Via dell’Acqua” di James Cameron!».
Si è trasferito con tutta la famiglia, ho capito bene?
«Proprio così. Con mia moglie Elettra Botner, infermiera di Rottofreno, e le due bimbe piccole, Fara e Olimpia, nate entrambe a Piacenza. Qui a Wellington c’è una comunità italiana forte e unita. E, in termini economici, le grandi aziende come Weta offrono pacchetti e benefit che aiutano le famiglie dei dipendenti ad inserirsi. Certo, si soffre ancora oggi per le bambine lontane dai nonni e per noi genitori separati da nipoti e fratelli. Piacenza ci manca, purtroppo non torniamo spesso, anche a causa dei costi aerei da sostenere per tutta la famiglia tra Nuova Zelanda e Italia, senza contare le circa 30 ore di volo per l’andata e altrettante per il ritorno. In Italia ci sono molte cose che non vanno, forse anche troppe, ma la casa resta sempre casa».
Tornando ai suoi effetti speciali, quali creazioni le hanno regalato le soddisfazioni più grandi?
«Ce ne sono molte, anche del periodo londinese. Più recentemente direi il contributo a “Guardiani della Galassia Vol.3” per molte scenografie ricreate digitalmente e alla serie di “The Last of Us” collaborando per la creature mostruose».
Ricorda il suo primo film blockbuster degno di nota?
«Sicuramente “007 – Skyfall” nel 2012 a Londra. Mentre al momento ci sono alcune proposte molto interessanti che sfortunatamente non posso anticipare. Tra i lavori più recenti, invece, direi quelli per “The Last of Us” che, tra l’altro, è stato uno dei miei progetti preferiti di tutti questi anni».
Quali registi e maghi degli effetti speciali ha incontrato?
«Oddio, sono parecchi e citarli tutti è difficile. Anche perché conoscendoli di persona scompare quell’alone di divinità percepito quando si sogna il settore. Poi mi verrebbe da dire: ci sono maghi degli effetti speciali? A questi livelli ognuno è molto forte, un po’ come ne “I sette samurai” di Akira Kurosawa, dove ciascun guerriero aveva una specialità. Per quanto riguarda invece i registi, capita di vederli alle riunioni di revisione, ma raramente di interagirci (se ne occupa la produzione). A meno che non si vada sul set per ragioni specifiche. E in questo caso direi nomi del calibro di Cameron e Zack Snyder».
Che rapporto aveva con il cinema prima del salto nel mondo dei professionisti?
«Ero un gran divoratore di film e serial… una volta. Oggi non seguo più molto. Ho poco tempo e c’è scarsa varietà. Molti prodotti sono standardizzati, fatti con lo stampino per ragioni di marketing. Questo ammazza un po’ la potenza artistica e cede spazio alla noia. Inoltre, piccola curiosità, non guardo mai qualcosa a cui ho lavorato: avendo visto il prodotto “senza veli” la sorpresa non c’è più. Io l’ho conosciuto come nessun altro e quindi non provo interesse verso il risultato finale».
Scommetto che prima o poi le piacerebbe dirigere un film…
«Sì, tornare dietro la macchina da presa sarebbe bello, ma ci vogliono molti, molti soldi. Fare il regista è fattibile ed interessante solo se hai controllo totale sul prodotto e sulle tue scelte artistiche, altrimenti sei solo un pagatissimo schiavo della produzione. Magari un giorno accadrà, ma dovrò risparmiare ancora qualche cent».
A proposito di mondi fantastici: si è mai messo alla prova con i videogame?
«Nel 2016 ho avuto il mio momento di gloria grazie a un gioco horror intitolato “Nowhere”. Purtroppo non è stato mai sviluppato, sostanzialmente per motivi di budget, però il demo era piaciuto e le riviste specializzate ne parlarono con toni entusiastici. Era la storia di un gruppo di persone – vittime e carnefici – imprigionate in un limbo dantesco. Spazio Games titolò: “Arzani ci insegna come si fa il videogioco horror italiano”. In effetti potrei riprovarci un giorno, stavolta come game director».
di Michele Borghi
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