Remo Girone: «Iniziai con il diavolo, adesso porto in scena l’orrore della Storia»
Dalle paure ancestrali legate a magìe e superstizioni all’orrore reale, quello della Storia. Remo Girone sta per salire sul palco per l’ennesimo tutto esaurito de “Il cacciatore di nazisti” – pièce teatrale ispirata a Simon Wiesenthal, il sopravvissuto all’Olocausto che ha smascherato oltre un migliaio di nazisti – quando “Libertà” gli chiede di aprire il cassetto dei ricordi. Il motivo è semplice: le celebrazioni per i 50 anni de “L’esorcista” hanno finito per riaccendere i riflettori su “L’anticristo”, risposta italiana al celebre horror americano.
Una rivalutazione talvolta sfrenata: molti fan considerano la pellicola del regista Alberto De Martino superiore all’originale di William Friedkin. Per chi non ama flirtare con il filone demoniaco, ne “L’anticristo” il giovanissimo Girone affronta le forze del male a fianco di Carla Gravina. Oggi quel “film d’imitazione”, come dicevano i critici di una volta, dopo anni di difficile reperibilità si trova in bluray.
Ed è diventato un cult movie. Remo, se lo sarebbe mai aspettato?
«No. Anche perché “L’esorcista” doveva ancora uscire in Italia, mentre a Roma stavamo già girando la nostra versione».
Fu il suo debutto al cinema?
«Prima c’era stato un ruolo nel film per la tv “Roma rivuole Cesare”, diretto da Miklós Jancsó, quando frequentavo ancora il secondo anno all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico».
Come arrivò a recitare nell’horror che sfidava “L’esorcista”?
«Grazie a Umberto Orsini. Mi aveva notato in uno spettacolo curato da Luca Ronconi. La produzione cercava un giovane attore per il ruolo del fratello dell’indemoniata Gravina, mentre Orsini era lo psichiatra che cercava di aiutarla».
Che aria tirava sul set?
«Fu molto divertente girarlo. Al cinema, invece, da spettatore, mi impressionò. Il regista De Martino era un tipo simpatico. Mi tinsero i capelli di rosso come quelli di Carla, visto che nella finzione eravamo fratello e sorella. Il colore mi rimase per mesi una volta finite le riprese. E poi c’erano attori straordinari come Alida Valli, Arthur Kennedy, Mel Ferrer e Mario Scaccia».
Con un cast tecnico di prim’ordine: il direttore della fotografia era il compianto Aristide Massaccesi, alias Joe D’Amato…
«Massaccesi, diventato famoso per i film porno, era un valido direttore della fotografia. C’erano poi gli effetti speciali, in gran parte realizzati sul momento. Non c’era nulla di aggiunto dopo: all’epoca si faceva tutto o quasi davanti alla macchina da presa. Niente digitale, semmai il trionfo del meccanico».
Il regista De Martino dirige con mano sicura.
«Mi aveva preso in simpatia e fu molto generoso nei consigli sul comportamento da tenere sul set. Ricordo una notte intera di riprese al Colosseo, poi girammo a Palazzo Taverna… Tutte location romane, nel mirino dell’Anticristo c’era la Città eterna».
Poco dopo, sul set de “Il gabbiano” di Marco Bellocchio, lei avrebbe trovato Laura Betti, ovvero la voce italiana della bimba de “L’esorcista”. Una coincidenza, se posso permettermi, diabolica…
«È vero, Laura doppiò la versione per il nostro mercato. Lei era una persona interessante, molto intelligente. Durante la preparazione del “Gabbiano” mi invitò nella sua casa romana frequentata da artisti e intellettuali vicini a lei e a Pier Paolo Pasolini, come Bernardo Bertolucci».
Ricorda il primo incontro con il maestro Bellocchio?
«Con lui ho avuto la mia prima prova d’attore importante. Ho fatto tre provini e, proprio quando non ci credevo più, è arrivata la telefonata: mi aveva scelto per il ruolo di Costantino. Oltre a Laura Betti c’erano Pamela Villoresi e Giulio Brogi. Il film andò a Cannes e lo considero tra i più riusciti adattamenti del “Gabbiano” di Cechov. Di recente pure Toni Servillo mi ha fatto i complimenti».
Lei ha un rapporto speciale con un altro talento piacentino, il regista Leonardo Lidi.
«A San Ginesio presiedo il premio “All’arte dell’attore” nel contesto del Ginesio Fest, diretto da Lidi. È un festival teatrale che ogni estate continua a crescere. Ne vado molto orgoglioso. Valorizziamo il borgo degli attori (San Ginesio ne è il protettore, ndr), autentico gioiello medievale e simbolo di rinascita per la provincia maceratese ferita dal terremoto. Qui il teatro rivivrà grazie al restauro e vogliamo che il paese diventi residenza fissa per la gente di spettacolo. Con Leonardo c’è totale sintonia».
Tra poche ore salirà sul palco nei panni di Simon Wiesenthal...
«È uno spettacolo molto amato dal pubblico il nostro “Cacciatore di nazisti”. Riempiamo i teatri ovunque. Una prova impegnativa anche fisicamente perché vado in scena da solo per un monologo di un’ora e venti. Ogni replica è una grande soddisfazione e sa perché?».
Me lo dica…
«Vedo sempre tantissimi giovani in sala. E i teatri ci richiamano. In questa seconda stagione siamo tornati a Milano per una settimana, in Sardegna lo stesso. Lo spettacolo si rivolge a tutte le età, ma la risposta dei ragazzi mi interessa particolarmente perché aiutiamo a coltivare la memoria. Dopo lo spettacolo, infatti, incontro spesso i ragazzi nelle scuole. Spero di poterlo portare in scena anche a Piacenza, in Emilia mi sento a casa. La vostra cucina mi piace molto, mia madre era originaria di Scandiano».
di Michele Borghi
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