Riapre l’Overlook Hotel di “Shining”, pronti a tornare nel labirinto degli orrori?
Benvenuti nel labirinto di “Shining”, quello esterno, di siepi, dove Jack Torrance insegue Danny Torrance alla fine del film, quello interno, dentro l’Overlook Hotel, dove Danny pedala con il suo triciclo sulla moquette ipnotica dei corridoi, e quello dentro la mente di Jack, attaccata dal male che avvolge l’Overlook. Sono tutte invenzioni di Stanley Kubrick, regista, produttore e co-sceneggiatore della versione cinematografica del romanzo di Stephen King, che ora torna in sala in versione integrale in 4K grazie a Lucky Red. Lo scrittore Jack Torrance (Jack Nicholson) accetta di lavorare come custode, per il periodo invernale, nell’elegante e isolato Overlook Hotel, nelle Rocky Mountains, insieme alla moglie (Shelley Duvall) e al figlio (Danny Lloyd). Ma quando la prima bufera di neve si abbatta sull’hotel bloccando ogni via di fuga, gli spettri dell’albergo sembrano riemergere dal passato.
Se il cinema per Kubrick è soprattutto visione, il libro dello scrittore del Maine ha scatenato nella sua testa quelle immagini che da anni sono stampate anche nella nostra: il sangue che arriva fino al volto della spettatore nella sequenza iniziale, le gemelle, la stanza, il volto di Jack che sfonda la porta chiamando Wendy, la festa danzante, Redrum, “All work and no play makes Jack a dull boy”. Il conflitto che nasce dentro Jack Torrance, dilaniato tra il cuore che gli pompa nel sangue l’amore per la propria famiglia e il cervello che gli dice all’orecchio che proprio la famiglia è la causa del suo fallimento come scrittore, come marito, come padre, viene amplificato da una serie di immagini duali: simmetrie, specchi, personaggi doppi. Il calvario di Jack passa attraverso una serie di tentazioni: alcool, adulterio, violenza, status sociale.
Le grandi differenze che separano il romanzo di King dal film di Kubrick cominciano subito, quando nel 1977 il regista, che voleva dirigere “l’horror più spaventoso di sempre” comincia a lavorare a un adattamento del libro insieme a Diane Johnson: non solo non legge la sceneggiatura che lo scrittore aveva preparato, ma, come aveva già fatto con Anthony Burgess per “Arancia Meccanica” non lo consulta né lo coinvolge in alcun modo nel processo di trasposizione. Kubrick e Johnson per mesi non scrivono nulla, ma si fanno domande sui personaggi, leggono storie gotiche, fiabe, scritti di Freud e quando cominciano a lavorare allo script cambiano radicalmente il punto di vista: per King Jack Torrance è un uomo travolto dai mostri, per loro Jack è un uomo che contiene un mostro, un padre che minaccia un figlio, archetipo di rabbia incontrollata, Jack/Abramo che accetta di sacrificare Danny/Isacco al suo Overlook/Dio.
Fin dall’inizio Kubrick sceglie Jack Nicholson “per la sua capacità di essere furiosamente vivo in ogni scena, carico di una rabbia esplosiva”, e Shelley Duvall per la sua “qualità eccentrica”: i due attori e il piccolo Danny Lloyd sono la famiglia nucleare che Kubrick chiude nel suo hotel, che progressivamente si stringe isolandoli dal mondo esterno. Come un entomologo, il regista sperimenta sulle sue cavie, mettendo sulla loro strada ostacoli sempre più grandi da superare, mescolando momenti di normalità familiare a scene molto cariche, in una continua oscillazione tra realtà e soprannaturale. Nel corso del film le allucinazioni crescono e si avvicinano, minacciano Danny e seducono Jack: ma mentre Danny, il bambino dotato, individua le trappole e i luoghi pericolosi e cerca di avvertire gli adulti del rischio che stanno correndo, Jack, il padre cieco, sceglie di non vederle: Jack decide di ignorare la storia ed è condannato a ripeterla, fino a quel doppio finale, il congelamento di Kubrick che è il contrario dell’esplosione di King. E cosa è una fotografia se non un istante congelato nel tempo?
“Shining” sarà in programma al Jolly2 di San Nicolò lunedì 7 ottobre in versione originale con sottotitoli mentre martedì 8 ottobre sarà proposto doppiato in italiano.
di Barbara Belzini
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