Roger Daltrey, a 80 anni, suona con gli Who a Londra a favore del Teenage Cancer Trust: “Finché sarò vivo salirò su un palcoscenico”
Lo scorso primo marzo, Roger Daltrey ha compito 80 anni e, giustamente, sono fioccati articoli che si sono soffermati sul suo mito, sulla carriera da rockstar, sull’atteggiamento sessualmente libero che lui non ha mai nascosto, neppure nella sua autobiografia “La mia storia con e senza gli Who”, pubblicata anche in Italia da Caissa (208 pp, 22 euro). Durante la nostra chiacchierata, però, il frontman degli Who, incarnazione di “Tommy”, voce e presenza scenica tra le più carismatiche della storia del rock, riflette soprattutto sul suo impegno sociale per il Teenage Cancer Trust, che lui ha fondato nel 1990 e che l’ha visto, lunedì scorso, di nuovo in scena con gli Who per un concerto benefico alla Royal Albert Hall di Londra, in replica ieri, mentre domenica lo affiancheranno Eddie Vedder, Paul Weller, Kelly Jones e Robert Plant.
«Arrivare sino a qui non è stato facile, e non intendo per colpa di Pete e John, ma per l’intero management, che poi ha dato vita a più fondazioni. Neppure invitare mezzo mondo del rock a unirsi a noi lo era. Ma se ci era riuscito Bob Geldof per il Live Aid, “allora tutto è possibile”, pensavo. Così è stato, ma quante difficoltà, quando si vuole fare del bene», lamenta Daltrey, che per il suo impegno ha ricevuto l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine Britannico.
Quali sono le difficoltà maggiori?
«Sicuramente abbattere i muri della burocrazia. Io ci ho sempre messo la faccia e la fama un po’ aiuta, ma anche tutta la rabbia possibile perché si tratta di giovani vite umane. Si stima che ogni giorno 7 giovani dai 13 ai 24 anni si ammalino di cancro. Vale la pena combattere per loro. E per un attaccabrighe come me, non è poi tanto difficile (ride, ndr)».
Ieri sera è tornato in scena con gli Who, domenica con special guest. Quanto è cresciuto il Teenage Cancer Trust, al di là dei concerti alla Royal Albert Hall?
«Ogni anno facciamo una serie di concerti, ma anche varie iniziative, più o meno grandi, per raccogliere fondi. Il Teenage Cancer Trust opera sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. Offriamo cure e supporto unici, pensati per e con i giovani. Finanziamo la formazione di infermieri, medici e psicologi specializzati e unità ospedaliere inserite nel servizio sanitario nazionale perché i giovani abbiano strutture dedicate a loro per tutta la durata del trattamento, senza dover essere ricchi per curarsi al meglio. Offriamo poi informazioni a loro e alle famiglie».
Lei ha compiuto 80 anni e ha rilasciato un’intervista a un importante giornale in cui ha fatto trapelare un ritiro dalle scene. Lunedì, però, ha trionfato di nuovo con gli Who, stasera tornerà in scena con la band, inoltre ha annunciato alcune date soliste… si direbbe che ha cambiato idea.
«L’età c’è e penso che la cifra 80 sia significativa, merita senz’altro un bilancio esistenziale. Mentirei se dicessi di sentirmi ancora come quando avevo venti o trent’anni di meno, ma mentirei ugualmente se dichiarassi di non sentirmi in forma. Questa è un gran fortuna. Al giornalista che mi ha intervistato ho detto che, in virtù del mio bilancio esistenziale, se dovessi morire domani sarei pronto perché la vita mi ha dato tanto e sono sereno. Però ribadisco, ancora una volta, che sono un musicista. E morirò da musicista, non da pensionato seduto su un divano, se la salute non mi abbandonerà».
Come ha trascorso il suo compleanno?
«In famiglia, con mia moglie, alcuni figli e i nipoti. Sono tradizionalista, per quanto riguarda i compleanni importanti. Naturalmente ho ricevuto gli auguri da Pete, e mi dispiace non averli più ricevuti dagli amici che non sono più con noi».
Il ricordo di Keith Moon e John Entwistle è arrivato durante il concerto di lunedì sera, puntuale come sempre.
«Gli Who sono stati quelli con Keith e John. Sarebbe impossibile non sentire la loro presenza, specialmente sul palco».
E c’è un altro amico caro, che ci ha lasciati: Wilko Johnson. Insieme avete registrato un album fresco e graffiante, come foste due esordienti.
«Sono molto soddisfatto di “Going Back Home”, dell’amicizia e della collaborazione con Wilko. Gli ho proposto io l’idea quando ho saputo che era malato. Ci siamo subito trovati in piena sintonia, lui si è ripreso ed è rimasto in salute per un bel pezzo. Sono convinto che la musica faccia solo del bene».
Mi sono imposta di non chiederle se gli Who faranno un nuovo album o un altro tour per i 60 anni… ma glielo sto chiedendo.
«Da questo momento, i miei programmi e quelli di Pete viaggiano paralleli. Lui partirà domani per Broadway perché tiene molto alla versione teatrale delle sue rock-opere. Non è poi un segreto che stia lavorando a del materiale solista, credo. In fondo, alla sua età ha il diritto di farsi un po’ i cavoli suoi. Di certo, non lo aspetterò, ma farò lo stesso».
di Eleonora Bagarotti
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