Sandy Denny, indimenticabile regina del british folk-rock
Non è semplice ricordare la figura di Sandy Denny in una manciata di parole. Oltre a ripercorrere le tappe di questa fragile, talentuosa artista scomparsa nel 1978 a soli 31 anni, bisogna citare le correnti musicali che la precedettero, la condussero a divenire un’indimenticabile interprete e l’accompagnarono in una carriera ricca di incroci magici.
L’intento parte da un accenno all’affascinante e visionaria musica britannica, che ha germinato nel suo ventre un incredibile gruppo di musicisti influenzati dal folk, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. Un saggio di Rob Young fa partire tutto da una cantautrice di Newcastle, Vashti Bunyan, vivente, autrice di canzoni intrise di sofferenza, scritte attraverso un viaggio nelle brughiere inglesi in carrozza. Uno scenario surreale, adatto ai dipinti di William Turner. Del resto, quel movimento romantico, nelle folk song, è rimasto il tappeto sul quale giacere e liberare i pensieri, a dispetto dei fervori della Swinging London.
Persino Paul Simon iniziò così la sua carriera in Inghilterra.
Sandy Denny viene descritta da Young in “Electric Eden” (mai pubblicato in Italia): stramba, autodistruttiva, intuitiva, meravigliosa. La densità multicolore di una voce come la sua era il riflesso di una complessità esistenziale, un mix in grado di tenere testa a uno come Robert Plant (in epoca Led Zeppelin) e Bob Dylan, rielaborandolo alla sua maniera, spostando la lancetta del folk al folk-rock. Per questo, e molte altre ragioni, esiste tuttora un culto nei confronti di Sandy Denny e ringrazio un lettore di avermi richiesto un affresco su di lei.
Delle sue esperienze nei Fairport Convention e, a seguito della rottura con la band a metà del 1969, nei Fotheringay, nonché della costante collaborazione con gli Strawbs, scelgo la prima. Con lei al centro, i Fairport stravolsero uno stile e venne alla luce un nuovo genere. Sono quei punti di non ritorno, a far procedere la storia della musica – e dell’interpretazione vocale femminile. Tormentata come certi brani di What We Did on Our Holidays, Unhalfbricking e Liege & Lief, eletto il “disco folk più importante della storia”. Una gestazione sofferta, legata a varie vicissitudini. L’addio di Sandy è alle porte, ha bisogno di una sua dimensione, pur avendo raggiunto, giovanissima, il suo apice. E’ comprensibile, anche perché quell’esistenza era costantemente alla ricerca di qualcosa, oltre le tappe consolidate. A seguire il “passaggio” fu il mitico Joe Boyd, che le faceva da manager, ma quel passo condusse ad altri tormenti.
Da riascoltare, oltre agli album dei Fairport Convention, il capolavoro solista Sandy del 1972. L’anno dopo andrà in crisi il matrimonio con il compagno di lungo corso e storico produttore Trevor Lucas. L’alcol e gli stupefacenti tenteranno, inutilmente, di coprire l’insofferenza. Neppure una fugace reuinion dei Fairport Convention le ridarà forza. Rendevouz sarà il suo ultimo album. Sandy Denny morirà per un’emorragia cerebrale, lasciando dietro di sé un’eredità definitiva.
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