Sant’Ambrogio, Milano deserta e un film di memorie in Piazza della Scala
E’ un lunedì piovoso, di quelli in cui di solito in piazza Duomo e sotto la Galleria a Milano i colori degli ombrelli brillano come i tutù della ballerine. Stavolta no. Eppure è il 7 dicembre, Sant’Ambrogio. Una data che, anche per noi che non siamo milanesi ma amiamo la musica, è il vero inizio dell’anno. Il giorno della prima alla Scala.
Ne ho viste parecchie, di prime alla Scala. Il merito non è mio, ma di mia madre Carla. L’amore per la lirica è sopraggiunto anni dopo, ma lei intanto seminava. L’esperienza di un lungo Tannhäuser di Wagner in lingua tedesca è impressa nelle mie memorie infantili accanto a quella di un virulento morbillo, ma la vita sorprende e così, oggi io quel Tannhäuser lo rivedrei volentieri. Con sopraggiunta consapevolezza.
Ero appena nata quando, nel 1968, mamma finì fotografata in prima pagina del Corriere della Sera perché Mario Capanna e i ragazzi del Movimento studentesco le lanciarono addosso le uova, in segno di protesta. Ancora oggi, lei commenta dicendo: “Non avevano capito niente. Io non ero mica figlia della ricca borghesia milanese, in casa mi hanno fatto un po’ studiare canto grazie a una zia. Non potevo permettermi di fare l’artista però ho sempre amato la musica. Cantavo e andavo in loggione, facendo ore ed ore di fila sotto il gelo. La Scala era la mia seconda casa, anche se non andavo in palco. E anche se, a un certo punto, potevo permettermi un abbonamento in galleria, stavo bene in loggione. Lì, ad ogni intervallo, ci si confrontava. E a fine spettacolo magari si faceva l’alba in galleria per discutere di un interprete, di una regia o per incontrare la Callas che andava a cena al Savini”.
Oggi lanciare quelle uova sarebbe inutile, e non solo perché Mario Capanna, dopo anni di politica, si è imborghesito. A riceverle, ci sarebbero solamente i muri e qualche cartellone con sopra scritto SOSPESO IN DATA DA DESTINARSI.
Sarà vero, come dicono, che l’opera lirica non interessa più? A Milano, in un pomeriggio buio come fosse mezzanotte e freddo come la punta bianca delle montagne che si scorgono in autostrada, si ha l’impressione che tutti siano rinchiusi in casa a vedere la diretta dal Piermarini. Negli anni scorsi, lo si faceva proprio in galleria, davanti a un grande schermo. Ma questo non è più un mondo per gente assemblata.
Oggi sul quotidiano Libertà potete leggere la mia recensione di questa strana prima scaligera, unica nel suo genere, con 24 voci internazionali, il balletto con Roberto Bolle (che ha annunciato il suo prossimo addio alle scene) e l’orchestra diretta da Riccardo Chailly. Insomma, la solita “famiglia” della Scala, per chi è abituato a salire nel dì di festa – io ho portato mio figlio Pietro a tantissime matinée e concerti della domenica. E proprio come in “famiglia”, il dicembre quest’anno lo si fa lontani. Guardandosi e ascoltandosi da uno schermo, senza potersi fermare a bere una cioccolata prima del rientro. Tutto questo è molto triste.
Meno male che c’è la musica.
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