Siamo quello che siamo: “Bones and all”
“We love teenagers, that’s it”, ha detto una giornalista straniera entrando alla conferenza stampa di “Bones and all” alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno, dove ha vinto il Leone d’Argento alla regia e il premio Mastroianni per la sua giovane protagonista, Taylor Russell, una visione.
Non so se davvero amo i teenager, per me è una parola che evoca immediatamente River Phoenix buonanima: quello so per certo che è dal 2 settembre che quando mi chiedono se c’è qualcosa di bello da vedere in giro io parlo sempre di “Bones and all”.
Luca Guadagnino ancora una volta sceglie di raccontare i ragazzi, le loro scelte, i loro coming of age. La grande novità è che abbia deciso di mescolare il filone di “Chiamami col tuo nome” e di “We are who we are” con “Suspiria”. Non è una novità invece che il romanzo di Camille De Angelis, adattato dallo sceneggiatore Dave Kajganich, amico e storico collaboratore di Guadagnino, sia una storia d’amore tra due giovani cannibali: Maren (Taylor Russell) e Lee (Timothée Chalamet) sono due vagabondi che si incontrano e intraprendono un viaggio lunga mille miglia che li porterà attraverso le strade secondarie dell’America di Ronald Reagan, magnificamente messa in scena dal production designer Elliott Hostetter.
Sono in fuga dalla loro storia, dalla loro famiglia, ma, come diceva quel tale, “Da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merx”, e ogni strada riporta indietro, al tentativo di convivere con la maledizione che si portano dentro.
La trama era nota da qualche tempo, ma vederla grondare sangue sullo schermo è un’altra storia, che conferma il grande talento visivo e visionario e la sensibilità intelligente con cui il regista racconta il mondo teen. Siamo abituati da decenni ai vampiri sexy e stilosi e no, non sto parlando di Pattinson, ma di quelli di Philip Ridley, Abel Ferrara, Jim Jarmusch, Francis Ford Coppola, Kathryn Bigelow, Neil Jordan, Ridley Scott.
Ma siamo decisamente meno avvezzi alla bellezza dei cannibali: ci aveva provato qualche anno fa Julia Ducournau con “Raw” a raccontare il legame tra sesso e cannibalismo, ma la sua guida schiacciava l’acceleratore sull’horror, mentre qui, in questa elegante metafora del disagio, della diversità, della vita ai margini, della ricerca di identità, Guadagnino ci mostra i suoi cannibali voraci ed eleganti come un Caravaggio che emerge dal buio.
Mangiare (mangiarsi) è un atto (anche) erotico, mangiare altre persone (perché non puoi fare altro, è nella tua natura) ovviamente trascina con sé un enorme problema etico, che diventa terreno di confronto e scontro tra i due ragazzi che vogliono portare avanti la storia d’amore: amore, sinonimo di futuro, tra due persone che si ritrovano obbligatoriamente a vivere in un eterno presente al di là della paura, in quella prateria infinita, strapiena di pericoli, strapiena di vita.
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