«Suonare le canzoni rock di “Killer on the Keys” per il pubblico italiano mi ha fatto sentire a casa»
Chissà cosa sarebbe accaduto, nella vita di Peter Cincotti, se nonna Angela Repetti, piacentina emigrata a New York, non gli avesse donato un pianoforte giocattolo alla tenera età di 3 anni. Forse non sarebbe cresciuto con quella sorta di “ossessione” per la tastiera, divenendo l’enfant prodige della scena newyorkese a soli 13 anni e poi il musicista dal seguito mondiale. Peter Cincotti è reduce da una serie di concerti a Milano e poi al sud, dove ha fatto il tutto esaurito nonostante un piccolo malessere che lo ha costretto a una breve pausa. In passato, Cincotti ha anche duettato al Festival di Sanremo con la cantante Simona Molinari (che è passata a salutarlo al Blue Note) nei brani “La felicità” e “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” («un omaggio a Lelio Luttazzi, che mi piace molto», spiega Cincotti).
Classe 1983, nato nella Big Apple, Cincotti attira giovanissimo l’attenzione di Elton John, che lo considera «il suo erede naturale per l’abilità pianista, la musicalità e l’energia delle sue performance dal vivo». E’ l’artista più giovane ad aver raggiunto il primo posto nella classifica di Billboard. Tra le sue caratteristiche principali la composizione, ma anche la rilettura di brani altrui, in stile Jazz virato al Rock, soprattutto nel suo recente album “Killer on the Keys”. «Senza scordare la propensione verso la melodia italiana, con cui sono cresciuto», precisa Peter.
Cincotti, ci parli di nonna Angela e delle sue radici piacentine.
«Sono molto orgoglioso delle mie radici italiane, che per metà sono avellinesi e per metà piacentine. Piacenza è una città che spero, prima o poi, di visitare. Nonna Angela è nata nel 1906, poi emigrò a New York dove conobbe mio nonno, originario di Cervinara, in provincia di Avellino. Mio padre Fred morì prematuramente, quando ero solo un ragazzino, e la nonna ci rimase molto vicina, fu molto importante per mia madre, per me e per mia sorella Pia, che poi è diventata la mia produttrice. Ricordo che la nonna preparava gli anolini, ogni anno a Natale, anche se era a Manhattan ormai da molti anni. Un altro piatto che preparava spesso era una piccola pasta con il sugo di fagioli (i pisarei e fasò). Da lei ho imparato a cucinare. Senza essere un cuoco esperto, so che per fare un buon sugo non bisogna avere fretta. Prima di incontrare la mia attuale fidanzata (Zeynep Onaran, conosciuta 5 anni fa a Istanbul, ndr) ho vissuto da single impenitente, quindi saper cucinare un buon piatto di pasta mi è stato molto utile».
Nonna Angela, fatto non secondario, le regalò il suo primo pianoforte. Lei lo racconta sempre.
«E’ vero, lo racconto sempre perché quel pianoforte giocattolo, che ricevetti in dono quando avevo solo 3 anni, in qualche modo ha segnato il mio destino. Non a caso, è uno dei primi ricordi d’infanzia impressi nella mia memoria».
Oggi lei è una star internazionale, ma ai suoi esordi alcuni giornali la definirono “crooner”.
«Non sono Michael Bublé, anche se all’inizio era facile confonderci. Io ho sempre amato molto comporre canzoni e sono assuefatto dalla musica. Trascorro tutto il tempo al pianoforte, a registrare o ad ascoltare dischi altrui. Mi piace molto anche andare ai concerti, sia classici che rock. Ho percorso tutti i generi e ho pubblicato album diversi tra loro. Non mi piacciono le etichette e, per questo motivo, sperimento continuamente. Sono un cantautore, ma la definizione che preferisco è quella di musicista. E’ la più semplice, ma anche la più completa».
In “Killer on the Keys” rende omaggio ad alcune pietre miliari del pianismo moderno.
«Un omaggio ai musicisti che mi hanno influenzato, che stimo, ascolto e ricanto. Spesso nelle interviste mi è stato chiesto chi erano i miei riferimenti. Così, ho pensato “quale risposta migliore, se non un esplicito omaggio?”. Ecco, dunque, alcuni nomi: Jerry Lee Lewis, Elton John, Billy Joel ma anche John Lennon – amo tantissimo i Beatles! – e Lady Gaga, un’artista straordinaria. Questo non significa che io non continui ad amare moltissimo Bill Evans, mi sento libero di tornare alla musica Jazz e al pop. E’ tutto intersecato. Non potremmo mai dire che nelle canzoni di Billy Joel non si riscontri l’abbraccio tra il rock e il jazz – e molto altro ancora. Con Jerry Lee Lewis è più facile: la sua è stata un’esplosione di rock’n’roll che ha spazzato via tutto quello che c’era prima».
Il singolo ripercorre il suo primo lutto importante.
« In “Ghost of my father” rivivo l’esperienza di aver perso mio padre a soli 13 anni: un dolore che non mi ha mai abbandonato e che ho espresso in una canzone».
Ha tenuto vari concerti in Italia.
C’è stato un grande entusiasmo da parte del pubblico, ed anche da parte mia. E’ inutile girarci intorno, il pubblico è unico. Ed io qui mi sento a casa. Non voglio dire che suonare altrove sia meno soddisfacente. Anni fa ho scoperto, con sorpresa, di avere un grande seguito in Oriente. Ma l’Italia ha la musica dentro il sangue. Percepisco il pubblico italiano come parte della mia storia e vengo ricambiato. Nelle mie ultime sere ho avuto il mal di gola, ma il pubblico ha capito anche questo».
Un aspetto che la contraddistingue è il piacere di comunicare, sia via social che nel parlare a giornalisti e fan di persona o al telefono.
«E’ il mio lato italiano. Mi piace stare insieme alle persone, rispondere alle domande, capire chi viene ai miei concerti. A casa mia, a New York, amo trascorrere le serate al pianoforte, da solo. Però mi piace l’idea di condividere subito un brano, chiedendo a chi è collegato dall’altra parte cosa ne pensa. Su Instagram, potete vedermi mentre suono a casa mia “The Entertainer” di Scott Joplin o “Viva la Vida” dei Colplay, che poi ho inserito nel nuovo album, ma anche mentre mi esibisco al Cafe Carlyle o stappo una bottiglia a Natale, facendo gli auguri ai miei follower. La tecnologia mi fa sentire a mio agio. Tengo persino una rubrica ogni venerdì, una specie di aperitivo virtuale e musicale che ho chiamato “The friday feeling” ».
Lei è stato anche fotomodello e ha girato alcuni film. Com’è stato lavorare nella moda e nel cinema?
«E’ stato piacevole diventare il testimonial di marchi importanti come Tod’s ed Ermenegildo Zegna. Tuttavia io sono un musicista e, per questo motivo, sono apparso in quel ruolo, al pianoforte, in “Beyond the sea” di Kevin Spacey e in “Spider-Man 2”. Sono state esperienze formative e divertenti. Sono anche apparso in un episodio di “House of Cards” e se capita qualche bel progetto, trovo interessante mettermi in gioco davanti a una cinepresa. Ma il cinema mi attrae soprattutto per la possibilità di scrivere colonne sonore, un ambito che mi è sempre interessato ».
Tornerà a casa a Natale?
«Penso proprio di sì, New York è bellissima a Natale ed è un altro aspetto della mia anima e della mia musica. New York è casa. Poi mi attendono altri concerti e spero che il nuovo anno possa portare un po’ di pace a tutti. Per questo motivo, nel mio album e nei live ripropongo sempre “Imagine”».
di Eleonora Bagarotti
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