Suzanne Vega tra Folk, letteratura e teatro è tornata in concerto in Italia: “Qui ricevo grande affetto”

L’Italia ha riaccolto a braccia aperte, nei giorni scorsi, la cantautrice Suzanne Vega.  Un’artista costantemente, e felicemente, sospesa tra musica folk e poesia, dal tratto intellettuale, amatissima dal pubblico italiano. In passato, l’editrice Minimum Fax ha pubblicato in Italia libri con le sue liriche, i suoi testi e i suoi racconti. Cosa assai rara, per una cantautrice raffinata, divenuta famosa giovanissima.
Autrice di hit come “Luka”, sul tema degli abusi sull’infanzia, dell’epocale “Tom’s Diner” (vedi articolo sotto) e della più sostanziale “In Liverpool”, Suzanne negli ultimi anni si è dedicata alla famiglia (un secondo matrimonio con un amico di gioventù, che le chiese di sposarla già una trentina di anni fa), al teatro e a una serie di live che l’ha tenuta impegnata anche durante il Covid.
«Ho avuto il Covid, ma quando mi sono ripresa ho pensato subito di organizzare alcuni showcase online (foto sotto) – ha detto Vega -. Un modo per mantenere il contatto con il mio pubblico, di conversare e suonare in diretta. Mi sono trovata a mio agio, forse perché sono sempre stata molto timida. Però sono felice di aver ripreso i concerti in presenza e di essere tornata in Italia. Ho avvicinato tante persone che mi hanno ricevuto con grande affetto. Ne sono grata».

Ad affiancarla in tour, come sempre, c’è il chitarrista Gerry Leonard, con cui ha proposto i suoi successi e brani che le stanno a cuore. Li scegliete insieme?
«C’è un’ottima intesa con Gerry, ci confrontiamo ma spesso non c’è nemmeno bisogno di lunghe spiegazioni. Certi brani sono sempre presenti nelle mie scalette, non mi sono mai stancata di ricantare “Luka”, “Tom’s Diner”, “Gypsy”…».

A un certo punto, si è resa indipendente e ha ripubblicato i suoi album con un’etichetta sua.
«E’ stata una scelta ovvia, benché dovuta al fatto che con le altre case discografiche, a un certo punto, non c’era più intesa. Ho capito chiaramente quel che tutti sappiamo: il mondo della discografia è cambiato, forse non esiste nemmeno più, in senso puro. Così, ho imparato a fare da sola».

Lei è anche approdata al teatro e al cinema. Com’è avvenuto il passaggio dal mondo letterario e musicale a quello dei riflettori?
«Il mio ultimo album di inediti, “Lover, beloved: songs from an evening with Carson McCullers” è stato la base dalla quale mi sono spinta oltre, scrivendo il monologo teatrale “Carson McCullers talks about love”, poi divenuto un film su di lei. È stato un progetto che mi ha coinvolto parecchio e, nonostante sia stato – e lo era! – considerato “underground”, mi ha molto soddisfatto. Mettermi in gioco anche come attrice non era nei miei piani, del resto non ho intenzione di cambiare lavoro (sorride, ndr), ma essere diretta da Michael Tully ha fatto la differenza. Tanto che, successivamente, ho accettato il ruolo in “Band Leader” in un teatro off-Broadway. Ma forse non ho risposto alla sua domanda… cosa mi aveva chiesto, nello specifico?».

Riguardava il rapporto tra il suo essere scrittrice e cantautrice e il suo successivo  ruolo come drammaturga.
«Da ragazza, mi sono alimentata di poesia. E questo è successo grazie al mio padre adottivo, che era uno scrittore, e poi sicuramente grazie alla musica folk, a Bob Dylan, a Pete Seeger, ma anche a Leonard Cohen e a Lou Reed, che per me è stato uno dei più grandi poeti americani dal Novecento, anche se lo si ricorda più come personaggio “trasgressivo” e glam. Non che ci sia nulla di male ad essere glam… Insomma, ho respirato le opere e le performance di tutti questi artisti che mi hanno dato un senso globale della scrittura, musicale e non. Quindi il passaggio è stato impegnativo ma naturale, un po’ come quando ho partorito mia figlia».

Un’ultima curiosità. Lei è nata in California, molti pensano sia invece newyorkese perché il soffio della Big Apple è prioritario nella sua musica.
«È accaduto spesso, pensiamo a Dylan o a Springsteen e a molti altri, che a New York non sono nati ma che forse, proprio per questo, l’hanno vista e voluta conoscere a fondo. Se accetti di aprirle la porta, New York ti prende e ti porta via con sé».

di Eleonora Bagarotti

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