Tamagotchi, il pulcino digitale anni ’90 è ancora oggi un trend
Lo abbiamo nutrito. Lo abbiamo coccolato. Lo abbiamo accudito. Eppure, talvolta, nonostante tutte le nostre attenzioni, lo abbiamo anche visto «morire ». Il mitico Tamagotchi – il piccolo dispositivo elettronico a forma di ovetto, con all’interno un piccolo pulcino digitale – torna di prepotenza dagli anni ’90 in una versione tutta nuova – e questa volta, anche con un negozio interamente dedicato. Proprio in questi giorni, infatti, ha aperto i battenti a Londra il primo store ufficiale, in cui è possibile acquistare un Tamagotchi nuovo di zecca – oggi ancora più tecnologico e social. Situato nel cuore di Camden Market, presso il Bandai Namco Cross Store, la sezione dedicata in esclusiva a Tamagotchi ne ha davvero per tutti i gusti: dalle edizioni originali, passando per quelle più recenti (Uni e Connections), i fan dell’ovetto digitale avranno finalmente un luogo (fisico) dove riscoprire la propria passione.
Una passione risorta dopo quasi 30 anni di successi altalenanti, e questo anche grazie ad un inatteso ritorno in auge del gioco elettronico tra il 2022 e il 2023: è proprio in quel periodo che Tamagotchi assiste ad un’impennata inaspettata in termini di vendite, raddoppiando le unità vendute dopo anni di stasi. In realtà, nonostante un parziale declino in Occidente, Tamagotchi ha continuato a resistere sui mercati asiatici per tutti questi anni dove, nel frattempo, il dispositivo elettronico ha assistito a diversi importanti aggiornamenti tecnologici, che l’hanno messo sempre al passo con i tempi per soddisfare le nuove esigenze del pubblico. Ma com’è nata l’idea di Tamagotchi? Correva l’anno 1995. Una dipendente dell’azienda di giocattoli giapponese Bandai, Aki Maita, venne colta da un’ispirazione: voleva creare un animale domestico digitale per i bambini, che non abbaiasse o miagolasse, che non sporcasse la casa o che non comportasse grandi spese dal veterinario. Maita decise di condividere la sua idea con Akihiro Yokoi, un designer di giocattoli di un’azienda concorrente, e insieme iniziarono ad elaborare i primi prototipi. Per comprenderne le potenzialità, i due creativi diedero alcuni campioni del giocattolo ad un gruppo di ragazze delle scuole superiori di Shibuya e, sulla base dei loro feedback, modificarono e affinarono il design del prodotto. Il resto è storia, una storia di un successo senza precedenti.
Commercializzato per la prima volta in Giappone il 23 novembre 1996, e rivolto, quanto meno agli inizi, ad un pubblico femminile, Tamagochi nasce dalla fusione di due termini, amago («uovo» in giapponese) e watch («orologio da polso» in inglese); questo perché, quanto meno nei prototipi iniziali, il Tamagochi doveva essere portato al polso come un orologio. Tuttavia, in fase di sviluppo, Maita si rese conto che la forma ovale si adattava meglio a un prodotto come un portachiavi, più facile da tenere in tasca e, soprattutto, da estrarre in caso di “emergenza”, magari per soddisfare le necessità del piccolo animale digitale con maggiore tempestività. Le regole del Tamagotchi sono molto semplici: compito del giocatore è quello di allevare l’uovo contenente la piccola creatura fino a farla diventare adulta. L’animaletto attraversa diverse fasi di crescita e si svilupperà in modo diverso a seconda delle cure fornite dal giocatore: se l’utente dimostra cura e attenzione nei confronti del proprio animaletto digitale, quest’ultimo diventerà una creatura adulta più intelligente, più felice e che richiede meno attenzione. In pochi mesi, Tamagotchi divenne un giochino immancabile tra le mani dei giovanissimi di tutto il mondo e solo in Giappone, nei primi quattro mesi, vennero vendute oltre 4 milioni di unità – e questo favorito anche dal costo molto contenuto del prodotto all’epoca.
Per comprendere la portata di un fenomeno gigantesco come quello dei Tamagochi, basta guardare i dati di vendita globali dal 1996 a giugno 2023: secondo le ultime rilevazioni, sono stati venduti oltre 91 milioni di dispositivi a livello globale. Ma come tutti i fenomeni di enorme portata, anche i Tamagotchi ebbero i loro detrattori: i piccoli animaletti digitali, infatti, destarono non poche preoccupazioni in genitori e in insegnanti, i quali erano preoccupati dal fatto che i dispositivi distraevano eccessivamente i più giovani anche durante le lezioni a scuola, al punto da vietarne l’utilizzo. Sebbene la Tamagotchi-mania in Occidente si sia affievolita nel giro di pochi anni, in Paesi come il Giappone ha continuato a prosperare: Bandai, infatti, ha continuato a produrre modelli sempre più all’avanguardia, capaci di connettersi ai Tamagochi dei propri amici, giocare online e acquistare accessori per il pulcino virtuale – proprio come i modelli attualmente in vendita. Non solo: attorno ai Tamagochi si è sviluppato anche un fiorente mercato di collezionisti. Secondo il portale economico Business Insider, la maggior parte dei Tamagotchi risalente alla prima era non raggiunge cifre particolarmente elevate su siti come eBay, dove la maggior parte ha un prezzo di circa 50 dollari. Tuttavia, ci sono alcune eccezioni: modelli rari come “Yasashii Blue” e “Tamagotchi Ocean” possono arrivare a costare tra i 300 e i 450 dollari sui siti di vendite di seconda mano. Sapevate che esiste persino un “cimitero” per i Tamagotchi defunti? Nel sud dell’Inghilterra, infatti, c’è un piccolo cimitero degli animali in cui una piccola sezione è stata riservata ai dispositivi elettronici oramai non più funzionanti, e a cui gli affezionati utenti possono dare degna sepoltura. In un’intervista alla CNN, avvenuta nel 1998, la responsabile del sepolcreto, Terry Squires, dichiarò che molti utenti accorrevano da diverse parti del mondo – persino da Canada e Giappone – per dare l’ultimo saluto al loro animaletto digitale e seppellirlo in quel piccolo spazio.
A distanza di quasi 30 anni, i Tamagotchi sono pronti a ritornare in pista e ad appassionare nuove generazioni di fan: piccoli, colorati e sempre più tecnologici, gli ovetti digitali divenuti un fenomeno di costume sul finire degli anni Novanta resistono ancora oggi a mode e manie passeggere, battendo persino le diverse imitazioni che si sono succedute (senza successo) con l’intento di spodestarli. Perché è proprio questo ciò che fa un prodotto di tendenza: cristallizzarsi nel tempo per poi perdersi in un ciclo infinito di corsi e ricorsi.
di Fabrizia Malgieri
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