The Manhattan Transfer, il tour d’addio fa tappa a Lesignano de’ Bagni. Ma io non voglio proprio dirgli addio
Tra centinaia di eventi sparsi in tutta la nostra provincia (ce n’è per tutti i gusti, intendiamoci, anche se un miglior coordinamento sarebbe fortemente auspicabile), ce n’è stato uno nel Parmense che merita una menzione speciale, con lode. E’ stata una serata molto speciale, quella che si è tenuta (gratuitamente, nell’ambito di “Lesignano respira cultura” e il ventennale di “Musica in Castello”, che ha visto tra l’altro impegnata in prima linea la piacentina Blacklemon e una raccolta fondi per Pangea, a favore delle mamme vittime di violenza in famiglia) al Parco della Terme, con una Pro loco attivissima e molto accogliente. The Manhattan Transfer – vincitore di 8 Grammy Award – ha fatto lì una tappa del tour finale di carriera, quello del 50esimo anno dalla fondazione del celebre gruppo vocale. Rispetto alla formazione originale (che, tra l’altro, annoverava la cantante Laurel Massé), non c’è più l’eclettico e istrionico Tim Hauser, meraviglioso leader scomparso nel 2014 a causa di un infarto. Trist Ethan Curless non scimmiotta affatto Hauser, pur avendolo sostituito, ha una propria musicalità, ma la mancanza è grande – come ha sottolineato più volte Cheryl Bentyne, voce sopranile del gruppo.
E così, è stato un puro piacere riascoltarli nella vibrante “Birdland“, nella teatrale “Java Jive“, nella conturbante e irresistibile versione del classico di Herbie Hancock “Cantaloop (Flip Out!)”, nella trascinante “Soul food to go“, che ha coinvolto il folto pubblico a ballare sotto il palcoscenico (ho visto mio figlio saltare di gioia, e per un 17enne che spesso ascolta il trap non è poco…). Un doppio regalo della vita, per me, dopo che i Manhattan Transfer già l’avevano riempita di anni ed anni di vera bellezza e pura gioia. Sono andata ad applaudirli 16 volte, due quelle indimenticabili per esperienze personali: la prima grazie all’amico pianista Walter Bosio che mi ci ha portata per farmeli conoscere, ed è stato un colpo di fulmine trasformato in amore eterno; la seconda al Birdland di New York, con il pubblico che fremeva fuori dal locale, in strada, e loro che, a un certo punto, sono usciti a cantare sulla 44th. Uno di quei momenti in cui la vita ha davvero un senso.
Io spero, ovviamente, che questa non sia l’ultima volta di Janis Siegel (che è sempre la numero 1, non solo nei Manhattan ma come cantante solista, arrangiatrice, produttrice e docente – provate voi a cantare così, a 71 anni e 42 gradi sotto le luci, poi ne riparliamo…), Cheryl Bentyne (guarita, anche vocalmente, dalla duplice malattia che l’aveva colpita qualche anno fa – pur essendo tornata in forma, la scaletta ne ha tenuto conto) e Alan Paul (ormai l’unico leader, oltre che bello e bravo anche simpaticissimo) insieme su un palco. Non ultimo: una band malleabile e affiatatissima, su tutti lo storico pianista e direttore musicale Yaron Gershovsky (un genio).
Perché gli album – anche tutti i loro lavori solisti (che annovero e ascolto con assoluta ammirazione, anche quelli “di nicchia”) – sono gioielli preziosi e senza tempo, ma loro sono ARTISTI maiuscoli e un palcoscenico, anche nella bella campagna parmense, si trasforma subito in un Birdland d’Emilia. Ce n’eravamo accorti anche nel Piacentino, quando Livio Bollani, direttore artistico del Valtidone Festival, li aveva chiamati a cantare a Sarmato nel 2011 (foto sotto).
New York, talvolta, sembra davvero a due passi…
© Copyright 2024 Editoriale Libertà
NOTIZIE CORRELATE