Un’estate da brivido! Dario Argento super ospite a Piacenza
“Non guardare in cantina” avvertiva un oscuro horror statunitense del 1973. Il giornalista cinematografico Enzo Latronico per fortuna ha ignorato il monito ed è sceso a curiosare nel piano interrato di casa, risalendo con un autentico tesoretto. «Tra le videocassette accumulate negli scatoloni, ho ritrovato il nastro che documenta la memorabile serata piacentina con Dario Argento ospite alla festa de l’Unità del 1993. C’era il pienone quella sera di settembre nell’area esterna del palazzetto di via Alberici per conversare con il mago del brivido», ricorda Latronico. In realtà si tratta di un colpo doppio, poiché con la videointervista è spuntato pure il corto “Una Piacenza d’Argento”, realizzato da Filippo Adolfini nella “notte horror” organizzata dalla Sinistra giovanile del Pds. «Non vedevo quelle immagini da circa trent’anni – prosegue Latronico – e mi hanno fatto grande tenerezza. Argento era stato simpatico, disponibile e particolarmente generoso con i fan». A moderare il dibattito, intitolato “Il nero in noi”, c’era Massimo Lastrucci, giornalista del mensile “Ciak”. Dario arrivava dal thriller americano “Trauma” e raccontò con largo anticipo il film successivo, ovvero “La sindrome di Stendhal” del 1996.
Il regista soggiornava all’Albergo Roma dove rilasciò l’intervista a Latronico e Adolfini: «Noi eravamo lì per rimpolpare l’archivio del Cineclub Piacenza, mentre Paolo Maurizio Bottigelli e Gianni Cravedi si presentarono per Telelibertà. Argento era rimasto soddisfatto dell’accoglienza ricevuta la sera prima alla festa de l’Unità. Ricordo che ringraziò il pubblico, felice di aver incontrato persone simpatiche e preparate». Al palazzetto ci furono pure siparietti divertenti tra il pubblico e l’autore di “Profondo rosso”. «Ad un certo punto, complice forse qualche birretta di troppo, un ragazzo si rivolse ad Argento in modo perentorio. “Tu sei il regista, un privilegiato che impone la sua visione, mentre noi spettatori siamo comuni mortali”. La battuta fulminante del maestro: “Ma li mortali vostri!”. Tutti sono scoppiati a ridere», prosegue Latronico. La gag fuori programma, tra l’altro, chiude il cortometraggio realizzato da Adolfini.
«Finita la serata, invece, evitammo una colossale gaffe», ricorda ancora Latronico. «Argento era rimasto tutto solo sulle rotaie lungo via IV Novembre. Siamo stati io e Filippo a corrergli incontro per accompagnarlo in albergo, strappando così l’appuntamento per l’intervista del giorno dopo». Scorrendo le immagini della vhs rispuntata dopo oltre 30 anni di oblìo (e ora digitalizzate da Adolfini), si può ammirare Argento in forma smagliante. L’aria di Piacenza gli aveva fatto davvero bene. Dario sfodera infatti un “sense of humor” insospettabile per un mago del terrore. Ha ragione il produttore Vittorio Cecchi Gori che, intervistato da Simone Scafidi nel recente film “Panico”, si sofferma proprio sul lato per nulla oscuro del cineasta romano.
La mano dell’assassino
«Sull’onda dell’empatia scattata durante la serata sul Facsal, chiesi ad Argento qualche aneddoto buffo o divertente tra quelli accaduti sul set dei suoi film. “Io sono tesissimo quando giro, non vedo l’ora di finire perché vivo in uno stato d’ansia incredibile”, ha subito messo le mani avanti il regista noto per “Suspiria”. Al microfono mi confermò invece che nelle sue pellicole la mano dell’assassino è sempre la sua», racconta Latronico. Molto interessante la risposta di Argento sull’utilizzo dello storyboard. Quando, in pratica, il film viene disegnato scena per scena, già in fase di sceneggiatura. Una tecnica utile soprattutto quando ci sono sequenze particolarmente complicate. «Oggi è pratica abbastanza comune, ma all’epoca Dario è stato probabilmente un pioniere nel panorama italiano», commenta Latronico.
Il giornalista piacentino ricorda perfettamente il backstage dell’intervista all’Albergo Roma: «Ero giovane e soprattutto emozionato. Per un motivo preciso: avevo paura di Dario Argento, avevo paura dei suoi film. Ancora adesso mi fanno paura. Quell’intervista mi ha sbloccato, ho vinto il terrore adolescenziale che mi impediva di vedere i thriller argentiani. Avevo una sorta di rifiuto, nonostante la passione per il cinema. Ho visto “L’esorcista”, ho apprezzato altri celebri horror, non posso avere il buco sul cinema di Dario Argento, mi sono detto. Così per reazione ho fatto una “full immersion”, una maratona Argento che mi ha fatto apprezzare la sua filmografia almeno fino ai primi anni ’90. Il preferito rimane “Profondo rosso”, anche perché c’è David Hemmings, tra i miei attori del cuore. Per la prima volta esplodono gli schemi del giallo classico, gli omicidi vengono mostrati nei dettagli, con rasoiate o coltellate a tutto schermo. Horror e thriller convivono tra sorpresa e suspence. Il mio primo titolo argentiano ammirato al cinema credo fosse “Phenomena”, con gli amici proprio per trovare coraggio. Colonna sonora formidabile e la protagonista Jennifer Connelly, stupendamente diafana, appena uscita da “C’era una volta in America” di Sergio Leone».
Tornando alla videocassetta rispuntata direttamente dal settembre 1993, Latronico confessa di averla rivista con un misto di nostalgia e tenerezza: «Cercavo di essere professionale, ma Argento capì subito che aveva di fronte un fan più che un giornalista. Oggi mi scappa da ridere guardandomi mentre cercavo di darmi un tono. Ero agli inizi del praticantato, a 24 anni, e l’emozione di avere davanti un regista di culto mi rese la voce un po’ tremolante. Dario comunque apprezzò le domande, capì che erano sincere, d’altronde pure lui ha mosso i primi passi come giornalista, per la precisione critico cinematografico». Oltre a portare a casa l’intervista, Latronico incassò i complimenti di Giulio Didomenicantonio e Giuseppe Baucia del Cineclub Piacenza. «Loro gradirono il mio lavoro, ma credo che il filmato sia rimasto di fatto inedito, mentre il servizio di Bottigelli passò l’indomani nel telegiornale di Telelibertà».
Le immagini di super Dario ospite sul Facsal diventarono pure un cortometraggio diretto da Filippo Adolfini. «Grazie al montaggio avevo unito idealmente l’incontro alla festa de l’Unità e l’intervista all’Albergo Roma. “Una Piacenza d’Argento”, questo il titolo, nacque dalla passione per il mago del brivido che accomuna il sottoscritto ed Enzo Latronico – racconta il regista e responsabile tecnologie di Telelibertà -. Con noi c’era l’operatore Renzo Marchionni. Ricordo che affidammo il video al Cineclub Piacenza – Fedic (Federazione italiana cineclub) e credo fosse circolato in qualche festival o rassegna. Sono dieci minuti di immagini scandite dalle musiche ipnotiche degli “Art of Noise” come colonna sonora. Fu un’esperienza molto divertente, Argento si dimostrò affabile e ironico, lasciandoci totale libertà nelle riprese. Alla fine della tavola rotonda, si fermò con i numerosi fan per una birra in compagnìa». Anche Adolfini non rivedeva i due nastri da trent’anni: «Ringrazio Enzo per questo regalo inaspettato. Per fortuna è spuntata la vhs dalla sua cantina, perché io non trovo più la videocassetta originale 3/4 di pollice che potrebbe essere stata utilizzata a Telelibertà. Non escludo che il corto sia passato in tv integralmente o solo in parte».
Adolfini sorride illustrando per filo e per segno la strumentazione utilizzata per il corto: «Avevamo due telecamere sd però già con tecnologia digitale. Per il montaggio usammo un ibrido tra analogico e digitale, trasferito appunto su supporto 3/4. Mi viene da ridere se ripenso ai titoli composti e digitati utilizzando un computer Commodore Amiga con una sorta di interfaccia di scheda in uscita. Gli effetti invece erano stati eseguiti tutti a mano con il mixer video».
di Michele Borghi
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