Un’estate trascorsa a videogiocare a Peglin insieme a mio padre
« Avevo un gran numero di ricariche e grazie al biscotto recuperavo vita. Poi ho trovato la reliquia che raddoppia le bombe e quella che le ripristinava. Con la palla rimbalzina ho fatto tantissimi danni danni al drago…». Quest’estate, se qualcuno avesse ascoltato le conversazioni tra me e mio padre, avrebbe potuto facilmente sentire qualcosa del genere. E immagino che lo avrebbe trovato un discorso assolutamente incomprensibile, una sorta di linguaggio in codice per iniziati. In effetti, è qualcosa di incomprensibile per chi non ha mai giocato a Peglin, il videogioco con cui io e mio padre ci siamo dilettati durante l’estate. Tutti noi, anno dopo anno, arriviamo a settembre con un po’ di nuovi ricordi estivi. E per me, tra le altre cose, questa del 2024 sarà l’estate di Peglin.
Peglin è uno di quei videogiochi di cui è facile capire le basi, ma che richiede diverso tempo per comprenderlo appieno. Si gioca nei panni di un piccolo goblin che deve affrontare una serie di nemici. Per sconfiggerli, bisogna lanciare una sfera contro dei pioli, cercando di colpirne il più possibile. Più o meno come in un flipper. O meglio, più o meno come Peggle, che è un altro videogioco. Ma non tutti conoscono Peggle, mentre è più facile che abbiano visto almeno una volta un flipper. In Peglin ogni che sfera che viene lanciata sfera, per esempio alcune colpiscono più avversari, altre rimbalzano da tutte le parti o fanno recuperare punti vita (se il nostro goblin viene colpito troppe volte dai nemici la partita finisce). Poi ci sono le reliquie che donano abilità speciali, boss da affrontare, diversi sentieri da percorrere e molto altro ancora. È un misto di abilità e fortuna. A volte un rimbalzo sfortunato può compromettere una partita, soprattutto alle difficoltà più elevate.
Questo è, molto in breve, Peglin, il gioco con cui io e mio padre ci siamo dilettati durante alcuni giorni estivi trascorsi insieme. Trattandosi di un videogioco single player (quindi in cui gioca una persona alla volta), ci alternavamo, commentando le rispettive partite. In realtà, nella maggior parte dei casi, era lui a giocare. Magari mi capitava di raggiungerlo durante una partita già avviata e osservavo come proseguiva. A volte giocava lui da solo, poi mi raccontava come era andata la partita e chiacchieravamo un po’ su quali fossero le migliori strategie da adottare in determinate situazioni.
Anni fa, mio padre aveva giocato ad alcuni videogiochi. Un paio di sparatutto (Hexen II, Unreal e Half-Life) e di avventure grafiche (la serie Syberia e Amerzone). Ora che è in pensione sta man mano rigiocando ad alcuni di essi. E un giorno gli ho fatto provare Peglin. Gli è piaciuto molto, come avrete intuito.
Sebbene sia un argomento ancora ben poco discusso, un po’ alla volta aumentano le ricerche e i discorsi sul gaming intergenerazionale: il videogioco come ponte tra le generazioni. La prima cosa che viene in mente è il legame tra i genitori e i loro figli piccoli, quando giocano insieme. Anche i genitori imparano molto da quell’esperienza e conoscono meglio ciò che emoziona e appassiona i figli. Ma sì può parlare di gaming intergenerazionale anche in molti altri casi. Come per esempio questo. È stata un’esperienza che mi ha riportato alla mente quando ero piccolo e lo guardavo giocare. Ormai mio padre è diventato molto bravo, con Peglin, forse è arrivato il momento di consigliargli qualche altro videogioco.
di Francesco Toniolo
© Copyright 2024 Editoriale Libertà
NOTIZIE CORRELATE