Trentino, carnosa e ghiotta cucina “breriana”
Di Giorgio Lambri 09 Gennaio 2022 16:46
Credo che a Piacenza sia il ristorante che più di qualsiasi altro sarebbe piaciuto a Gianni Brera. Parlo del “Trentino” e di quell’oste con la O maiuscola che è Marco Piazza. E reco questa commossa testimonianza subito dopo un sontuoso tagliere di formaggi e un semplice ma sontuoso ovetto con grattata di tartufo. Con il conforto di uno dei migliori vini piacentini in commercio: Inventato dell’Uccellaia, morbido e rotondissimo blend di Barbera e Merlot della Valnure. Mi compiaccio dell’amicizia di Marco fin dai tempi del Falco, è un anfitrione per il quale è impossibile non provare una naturale empatia. Cortese, competente, discreto ma anche pronto alla battuta, si giova del mestiere che storicamente esercitava la sua famiglia e che lui stesso ha praticato in gioventù: il macellaio. Sulle carni è imbattibile, non solo su quelle nobili e omologate, ma anche e soprattutto su quelle “povere” e più gustose. Non a caso, una delle più esclusive e intoccabili chicche del suo menù sono da sempre i cosiddetti piatti del quinto quarto. Dopo la guerra, in tempi di carestia, della carne non si buttava via nulla, ma poi con il boom economico queste parti dell’animale sono stati considerate alla stregua di scarti, “roba” poco nobile che finiva giusto sulla tavola di chi non poteva permettersi di meglio, salvo poi recentemente tornare ad essere considerate una prelibatezza da scoprire e riscoprire. Stiamo parlando delle frattaglie, di cui gli intenditori conoscono bene la grassa prelibatezza. Vengono chiamate quinto quarto perché costituiscono tutto ciò che non rientra nei quattro tagli principali (anteriori e posteriori) dell’animale. In un certo senso è anche il quarto nascosto perché è costituito in gran parte da organi interni. Negli ultimi anni anche chef che vanno per la maggiore hanno inserito queste parti di carne nei loro menu, riuscendo a mettere d’accordo sia la cucina tradizionale delle osterie che l’alta ristorazione. Marco questa vocazione ce l’ha nel Dna da sempre. In carta trovate puntualmente la “trippa di manzo alla piacentina con i fagioli bianchi”, “l’animella di vitello laccata con il suo fondo”, il classico “fegato di vitello con le cipolle stufate” ed un piatto che a un’intera generazione veniva imposto nell’adolescenza come vettore di nutrimento ed intelligenza, le “cervella di vitello impanate e fritte”. Ma ridurre la cucina del “Trentino” a questa comunque formidabile opzione sarebbe riduttivo. Tutta la carta parla di una cucina che vuole soddisfare il gusto ma anche la basica funzione di nutrimento del cibo, a cominciare dali antipasti. “Zuppetta leggera di cipolla con cacio del Po e pane Panko”, “Lardo piacentino dolce” che si scioglie su pane tostato caldo, ma anche una selezione deliziosa di salumi (serviti con la canonica giardiniera home made), “tartare di manzo con riduzione di funghi, nocciole tostate ed erba cipollina”. L’offerta dei primi è un arcobaleno di tradizione e guizzi creativi che parte dall’immancabile tris piacentino. Quindi vai di anolino in brodo di terza (manzo, cappone, vitello) per approdare ai tortelli con la coda e ai pisarei e fasò (con leggera aggiunta di ragù di carne). E poi ecco la più ghiotta fantasia al potere con i “Bottoni ripieni di coda alla vaccinara con fonduta di cacio e pepe e uvetta passita”, i “Plin di castagna con fonduta di Parmigiano e funghi pioppini”, i “Rigatoni del cav. Cocco con ragù di salsiccia home made” e uno sfizioso “Risotto con crema di zucca, midollo di bue, aceto balsamico e gamberi rossi di Mazara”. Se reggete all’urto e lo stomaco è robusto, i secondi sono un vero trionfo carnivoro. Oltre ai già citati piatti del quinto quarto, ecco il “Guanciale di maialino”, il “Filetto di manzo con il suo fondo” o quello di maialino con salsa all’uva, pioppini e castagne, le “Costolette di agnello” o la classica ma sontuosa “Entrecote di manzo”. Taccio, per pudore della ricca offerta dolciaria, abbinata a vini da dessert. A margine del menù, una breve nota a firma dello stesso Marco, racconta meglio di qualsiasi recensione il Trentino e la sua filosofia: “La pasta all’uovo che vi offriamo è preparata ogni giorno da mia moglie Donatella aiutata da Giulia. In cucina vicino ai fornelli bollenti ci sono Michele e Simone, due bravi ragazzi (io aggiungo anche due ottimi chef ndr.) insieme a Verio Reggi, arrivato fresco fresco. Mio figlio Daniele come una farfalla è volato via verso la robotica – prosegue il patron – è rimasta Sara, la libellula nera. Martha è sempre alla vaisselle ogni sera, sempre disponibile per tutti noi. Io mi limito a farmi vedere in sala – scherza Marco – e far finta ddi fare qualcosa”. In realtà lui è il coach, cuore e mente di una bella e affiatata squadra. Non dimentico la carta dei vini, con un numero appropriato di etichette che coprono diligentemente gli abbinamenti a una cucina così robusta: tanta Piacenza, con le migliori bottiglie del territorio, ma anche bollicine, Toscana, Piemonte Friuli e un ventaglio di scelte italiane qualificatissime. E anche per l’ammazza-caffè, se glielo chiedete, l’oste ha in serbo delle sorprese. E siamo al prezzo, assolutamente appropriato alla qualità della ristorazione e del servizio. Un menù completo (vini esclusi) può restare tranquillamente sotto i cinquanta euro e il ricarico sulle bottiglie è più che onesto. Insomma, per farla breve, Marco e il suo Trentino sono come i jeans, che alla fine vestono tutti e non passano mai di moda!
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