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Roberto Di Meglio racconta i segreti del dietro le quinte del game design

Carlo Chericoni
15 febbraio 2025|53 giorni fa
Roberto Di Meglio racconta i segreti del dietro le quinte del game design
3 MIN DI LETTURA

Per capire se sia davvero possibile “viverci” e scoprire i segreti del mestiere, abbiamo incontrato un autentico veterano di questo mondo: Roberto Di Meglio.
La sua carriera prende il via nell’editoria, con la fondazione della fanzine Crom! nel 1987 e della rivista sui giochi di ruolo Kaos nel 1991, per poi proseguire con la partecipazione alla fondazione di importanti case editrici di board game come Nexus e Giochi Uniti.
In tutto questo è anche riuscito a trovare il tempo per dedicarsi alla progettazione di giochi.
Un esempio? Il divertente RattleSnake, pensato per tutta la famiglia, e il leggendario Guerra dell’Anello, ideato insieme a Marco Maggi e Francesco Nepitello, che trasporta sul tavolo l’epica saga de Il Signore degli Anelli, con tutti i suoi eroi, intrighi e battaglie.
Oggi è direttore di produzione della Ares Games, dove coordina team creativi, cura i rapporti con partner e licenziatari e supervisiona le diverse fasi di progettazione, produzione e lancio dei giochi.
Chi meglio di lui può raccontarci il “dietro le quinte” del mondo dei giochi da tavolo?
Partiamo subito con la domanda più importante: fare i designer di giochi da tavolo in Italia può essere un vero e proprio lavoro per mantenersi o è più da vedersi come un hobby?
« I game designer professionisti al 100%, ossia coloro che non fanno assolutamente altro nella vita, sono davvero pochi. Esistono anche in Italia, ma penso si possano contare sulle dita di una mano. Basti pensare al famoso autore francese Bruno Faidutti, creatore di decine di successi internazionali, che ha comunque mantenuto il proprio lavoro di professore fino alla pensione. Nel mio caso, il percorso è stato un po’ diverso, perché ho sempre lavorato all’interno di un’azienda di giochi, prima in Nexus Editrice e poi in Ares Games, e, se vogliamo, anche per me l’attività di game designer è sempre rimasta un secondo lavoro. La maggior parte di coloro che vivono unicamente con la creazione di giochi affiancano spesso l’aspetto autoriale puro ad attività di servizio: dalla produzione di materiale per riviste alla realizzazione di progetti ludici per la formazione o il marketing».
In che modo la tua formazione scolastica ha influito sulla tua carriera di designer?
«Sono laureato in informatica e ho conseguito anche un dottorato di ricerca in questo ambito. Sebbene la prosecuzione naturale di tale percorso fosse lo sviluppo di videogiochi, ho preferito dedicarmi al settore dei giochi analogici, quelli più tradizionali. La formazione di tipo matematico- logico-scientifico è sicuramente di grande aiuto per i game designer: non a caso, sono diversi gli autori di successo che vantano un background in questo campo, come Richard Garfield, creatore del popolare gioco di carte Magic, e il prolifico designer tedesco Reiner Knizia. In fin dei conti, un gioco è un sistema di regole spesso basato su meccanismi di natura logico- matematica. Perciò, avere una buona padronanza del calcolo delle probabilità, della teoria dei grafici e di altri aspetti della matematica può rivelarsi estremamente utile».
Quindi un percorso di studi di tipo matematico è la formazione consigliabile a un giovane che vorrebbe intraprendere la carriera di game designer?
«Ci sono altri percorsi, secondo me, che possono portare competenze importanti. Basti notare come numerosi designer siano professori di storia, oppure vengano da un background di studi economici. Inoltre, l’anno scorso, l’Università di Genova ha attivato un corso di game design, riconosciuto con crediti universitari a tutti gli effetti. Ci sono anche scuole private, che offrono numerosi corsi, più o meno lunghi, come alcune scuole di fumetto, per esempio. In fin dei conti, diverse strade possono condurre a questo mestiere, purché ci siano passione e conoscenza approfondita del settore, unite alle competenze specifiche che si possiedono: è da questa fusione che nasce la prospettiva di lavorare come game designer ».
Secondo te, nella creazione di un gioco di successo, quanto conta dunque l’aspetto scientifico/matematico e quanto, invece, la pura intuizione o il talento innato del designer?
« È una domanda decisamente complessa. Nel mio lavoro di editore di giochi, vedo spesso ottime idee rovinate da un’esecuzione non perfetta dal punto di vista strutturale, logico o quantitativo. Basterebbe a volte un pizzico di competenza tecnica in più per intercettare certi problemi fin dal prototipo, evitando che ne compromettano il potenziale. La ricetta del successo, però, è qualcosa di sfuggente, soprattutto nell’ambito creativo. Servono dunque un colpo di genio, un po’ di fortuna e una solida esecuzione per dare vita a un gioco vincente. E soprattutto bisogna provare, perché se non si mettono alla prova le proprie capacità, non ci sarà mai modo di creare un prodotto di successo».
Quando ti approcci alla creazione di un gioco, parti prima dall’ambientazione o prima dalla meccanica?
« Per quanto mi riguarda, l’ambientazione è quasi sempre la principale fonte d’ispirazione. Il mio gioco più famoso, Guerra dell’Anello, è nato proprio dalla volontà di tradurre in forma ludica una storia appassionante e amata come quella di Tolkien.
Allo stesso tempo, ho cercato fin da subito di definire la struttura del gioco: quali sarebbero stati i suoi meccanismi fondamentali e portanti? In effetti, quando si parte solo dalle meccaniche e si “aggancia” il tema in un secondo momento, si rischia di ottenere un’ambientazione che sembra posticcia, e a me personalmente non piace. Preferisco, invece, che tema e meccaniche si integrino in modo profondo. Naturalmente, può accadere anche il contrario. Per esempio, il mio altro titolo di successo è un gioco per bambini chiamato RattleSnake, in cui si usano delle calamite particolari che, scontrandosi, emettono un suono curioso, simile al sonaglio di un serpente. In questo caso, l’idea è scaturita proprio dalla fisicità dell’oggetto e da quel rumore buffo. In linea di massima, però, credo che il tema sia un aspetto cruciale: deve fondersi con le meccaniche per dare vita a un’esperienza di gioco davvero appagante».
di Carlo Chericoni