«Rigo dritto con la musica, ma se mi attaccano mi difendo». La testimonianza a Dillo alla Lupa
Il rapper “Bally La Beldia”, dopo trascorsi difficili, ora sogna con la musica. Nell'intervista racconta la sua nuova vita, ma è sempre pronto a difendersi
Thomas Trenchi
|3 settimane fa

«Sto vivendo un sogno con la musica. Adesso rigo dritto, cerco anche di essere un esempio positivo per i giovani del quartiere e se trovo gruppi di ragazzini che litigano fra loro cerco di dividerli. Se vengono da me e vogliono farmi del male, io non ho paura di nessuno». Il rapper “Bally La Beldia”, volto noto della scena musicale piacentina, mostra la lama durante l’intervista e racconta la vita di strada da cui proviene. Cresciuto nel quartiere di Nostra Signora di Lourdes, ribattezzato “Zona 30”, parla di «una città nella città, con le sue regole». La sua testimonianza scandisce la prima puntata di Dillo alla Lupa, il nuovo talk di Telelibertà condotto da Marcello Pollastri e Danilo Di Trani, dedicato al fenomeno dei cosiddetti “maranza”.
Bally spiega: «Il maranza è il ragazzo ribelle che vuole il mondo e non sa come prenderselo. Siamo ragazzi di quartiere con sogni troppo grandi per stare in un cassetto normale». Racconta di aver fatto musica fin da bambino, di aver conosciuto il carcere e di aver cambiato rotta dopo la morte del padre: «Le nuove generazioni vogliono spaccare il mondo, ma servono punti di riferimento».
In studio il confronto politico. Per Stefano Cugini (ApP) i maranza sono «un campanello d’allarme, come i jeunes de banlieue in Francia, frutto di anni di tagli a welfare e cultura. Sono la punta dell’iceberg di una società che ha fallito le sue agenzie educative». Di parere opposto Nicola Domeneghetti (Fratelli d’Italia), che parla di «giovani principalmente stranieri, soprattutto nordafricani, che per darsi un’identità si muovono in gruppo e si atteggiano da duri». Per il consigliere «serve ripristinare la legalità, senza giustificare tutto con la mancata integrazione».
Nella puntata interviene anche Yassine Baradai, referente della comunità islamica di Piacenza e segretario nazionale dell’Ucoii: «Dove c’è violenza tra i giovani c’è disagio e qualcuno non li ha ascoltati. L’emergenza nasce anni fa, quando le seconde generazioni erano nelle scuole e venivano chiamate stranieri». Baradai denuncia l’assenza di politiche dedicate e ricorda la sua esperienza: «Sono in Italia da quando avevo sette anni, ma per andare in gita mi serviva il visto e altri adempimenti burocratici. Cresce così un dubbio sulla propria identità, sulla non appartenenza a una società».







