L’amore dei francesi per il cinema: “Dix pour cent” (Chiami il mio agente!)
Redazione Online
23 settembre 2022|947 giorni fa

L’amore dei francesi per il cinema ce lo ha raccontato benissimo Quentin Tarantino in Inglourious Basterds quando ha fatto morire Hitler in una sala cinematografica di Parigi, dove è ambientata la storia di “Dix pour cent” e dove si trova la sede dell’agenzia ASK, che teoricamente si occupa dei contratti delle star, e che praticamente è come la Olivia Pope & Associates, ovvero ha come oggetto sociale la crisis management. I quattro agenti senior, Andréa Martel (Camille Cottin), Mathias Barneville (Thibault de Montalembert), Gabriel Sarda (Grégory Montel) e Arlette Azémar (Liliane Rovère) gestiscono nomi famosi, e la serie procede seguendo due linee di sviluppo, la storyline principale, ovvero le sorti alternanti dell’ASK, e quella secondaria, legata all’ingresso di un attore diverso a ogni puntata. I nomi sono pazzeschi del livello di Isabelle Huppert, Juliette Binoche, Charlotte Gainsbourg, Monica Bellucci, Fabrice Luchini, Jean Dujardin, Beatrice Dalle, Jean Reno.
Che ve lo dico a fare (o se preferite Forget about it), è roba scritta benissimo e interpretata anche meglio e nelle quattro stagioni, che si snodano tra presentazione dei protagonisti, gestione dell’intruso, complotti e fiducia tradita, si ama, si soffre e si cresce insieme ai protagonisti (tra i quali mi urge citare quella strepitosa Laure Calamy che interpreta l’assistente Noémie Leclerc). In mezzo, le star, i loro vezzi, la loro grandezza, come nell’episodio dedicato a Fabrice Luchini, i loro tratti caratteristici, Huppert la workhaolic che gestisce (anzi che fa gestire) più set in contemporanea, Bellucci che non riesce a trovare un uomo che non sia intimidito dalla sua fama e dalla sua bellezza, Dujardin che prende in giro “Revenant” e Leonardo Di Caprio, Adjani che è una fan di Game of Thrones, Binoche che è così adorabilmente Binoche nell’episodio ambientato a Cannes 2016, dove si vede dappertutto quel magnifico poster da “Il disprezzo” di Jean-Luc Godard (e giù lacrime e struggimenti sui frame di Godard).

