In carcere, la tragedia di guerra diventa un'invocazione alla pace
Per la prima volta insieme in scena detenuti e detenute con "I sette contro Tebe" per la regia di Mino Manni
Donata Meneghelli
13 aprile 2025|14 giorni fa

© Libertà/Mauro Del Papa
Un ponte tra il dentro e il fuori del carcere. Un ponte che conduce dalla parola teatrale all’interiorità. Un ponte di umanità che attraversa i millenni. Venerdì sera dentro la Casa circondariale delle Novate di Piacenza trenta figli e figlie del nostro tempo hanno ridato voce e corpo alla tragedia di Eschilo “I sette contro Tebe”. Per la prima volta sono entrati in dialogo i due circuiti femminile e maschile dell’istituto penitenziario piacentino. I diversi accenti degli interpreti hanno reso ancor più universale una tragedia di guerra che alla fine si rivela una fortissima invocazione di pace.
Il regista Mino Manni - che alla fine è stato acclamato dai suoi ragazzi e dalle sue ragazze - ha condotto detenuti e detenute lungo un viaggio il cui frutto è stato condiviso con un pubblico dove le gerarchie si sono annullate: autorità, volontari, operatori, educatori, poliziotti, altri detenuti, si sono messi in ascolto. Mentre il pubblico entra nella sala teatro del carcere, c’è ancora rumore, ma agli angoli della stanza già si notano alcune presenze mute: donne velate, vestite di nero, con gli occhi che ci interpellano. Sono le tebane, che odono il tumulto provenire da fuori le mura della città, assediata dall’esercito di Polinice che rivendica il potere sottrattogli dal fratello Eteocle. Un fratello che muove guerra ad un altro, per far valere un diritto (il patto era che i due fratelli si alternassero come re della città, una volta morto il padre Edipo). Eppure a trionfare alla fine non è mai il diritto o la giustizia, ma sono la morte e l’autodistruzione.
La scelta registica di Manni, rivelatrice e potente, è stata quella di contrapporre le voci di donne e uomini: le prime temono l’arrivo della guerra, invocano la protezione degli dei, sono impaurite da un possibile futuro da schiave. Gli uomini sono guerrieri, sempre in movimento, invocano il sangue e l’onore.
La fisicità degli interpreti maschili viene accentuata: sono a torso nudo, con corpi possenti. Il messaggero che giunge per primo in scena, correndo in mezzo al pubblico, porta con sé rumore di guerra: un tamburo percosso con forza. Presto iniziano le grida, promesse di vendetta; gli interpreti sfogano rabbia e impotenza, sentimenti che attraversano ogni essere umano ma che in un luogo “separato” come il teatro vengono colti nell’essenza.
Donne e uomini hanno lavorato separatamente per mesi. Solo due le prove congiunte, il che rende la coralità della rappresentazione ancora più straordinaria. Grande studio anche dietro ai movimenti dei duelli tra i difensori delle porte di Tebe e i guerrieri di Polinice. Dal pubblico dei compagni detenuti si alza, durante i duelli, una sorta di tifo per l’una o l’altra parte. Anche questo fa parte dell’essere umano: prendere parte, incitare alla vittoria. Ma il silenzio diventa assoluto quando si leva il pianto delle donne. Un’attrice libera la sua voce in un canto rivolto al cielo, in una lingua “straniera” ma che raggiunge il cuore di tutti.
La terra intanto beve il sangue dei principi fratelli, realizzando la maledizione dei padri. Eteocle avrà funerali di Stato, Polinice è solo “carne morta”: un’opposizione fortissima anche questa. L’umanità è una, ma ci sono fratelli che muoiono insepolti, sotto le macerie dei bombardamenti o nel cimitero del Mediterraneo. Ogni attore e attrice, lasciandosi attraversare da parole antiche, ci ha riportati con grande intensità all’oggi.
Il regista Mino Manni - che alla fine è stato acclamato dai suoi ragazzi e dalle sue ragazze - ha condotto detenuti e detenute lungo un viaggio il cui frutto è stato condiviso con un pubblico dove le gerarchie si sono annullate: autorità, volontari, operatori, educatori, poliziotti, altri detenuti, si sono messi in ascolto. Mentre il pubblico entra nella sala teatro del carcere, c’è ancora rumore, ma agli angoli della stanza già si notano alcune presenze mute: donne velate, vestite di nero, con gli occhi che ci interpellano. Sono le tebane, che odono il tumulto provenire da fuori le mura della città, assediata dall’esercito di Polinice che rivendica il potere sottrattogli dal fratello Eteocle. Un fratello che muove guerra ad un altro, per far valere un diritto (il patto era che i due fratelli si alternassero come re della città, una volta morto il padre Edipo). Eppure a trionfare alla fine non è mai il diritto o la giustizia, ma sono la morte e l’autodistruzione.
La scelta registica di Manni, rivelatrice e potente, è stata quella di contrapporre le voci di donne e uomini: le prime temono l’arrivo della guerra, invocano la protezione degli dei, sono impaurite da un possibile futuro da schiave. Gli uomini sono guerrieri, sempre in movimento, invocano il sangue e l’onore.
La fisicità degli interpreti maschili viene accentuata: sono a torso nudo, con corpi possenti. Il messaggero che giunge per primo in scena, correndo in mezzo al pubblico, porta con sé rumore di guerra: un tamburo percosso con forza. Presto iniziano le grida, promesse di vendetta; gli interpreti sfogano rabbia e impotenza, sentimenti che attraversano ogni essere umano ma che in un luogo “separato” come il teatro vengono colti nell’essenza.
Donne e uomini hanno lavorato separatamente per mesi. Solo due le prove congiunte, il che rende la coralità della rappresentazione ancora più straordinaria. Grande studio anche dietro ai movimenti dei duelli tra i difensori delle porte di Tebe e i guerrieri di Polinice. Dal pubblico dei compagni detenuti si alza, durante i duelli, una sorta di tifo per l’una o l’altra parte. Anche questo fa parte dell’essere umano: prendere parte, incitare alla vittoria. Ma il silenzio diventa assoluto quando si leva il pianto delle donne. Un’attrice libera la sua voce in un canto rivolto al cielo, in una lingua “straniera” ma che raggiunge il cuore di tutti.
La terra intanto beve il sangue dei principi fratelli, realizzando la maledizione dei padri. Eteocle avrà funerali di Stato, Polinice è solo “carne morta”: un’opposizione fortissima anche questa. L’umanità è una, ma ci sono fratelli che muoiono insepolti, sotto le macerie dei bombardamenti o nel cimitero del Mediterraneo. Ogni attore e attrice, lasciandosi attraversare da parole antiche, ci ha riportati con grande intensità all’oggi.
IL PROGETTO TEATRO E I PRESENTI ALL'ESITO FINALE
Il progetto teatro che vive dentro alla Casa circondariale, ha potuto contare su un bel passaggio di testimone tra l’attuale direttore Andrea Romeo, alla guida dell’istituto penitenziario piacentino da febbraio, e di chi lo ha preceduto: Maria Gabriella Lusi, oggi direttrice del carcere di Padova. Entrambi venerdì hanno assistito all’esito del laboratorio, iniziato ad ottobre.
Il progetto ha visto impegnato Mino Manni, regista professionista che negli ultimi anni ha messo in scena con i detenuti “Iliade” e “Odissea” e con le detenute “Troiane” e “Baccanti”, sempre con l’assistenza alla regia delle volontarie Maria Rosa Salamina e Carmela Caserta.
Quest’anno eccezionalmente hanno lavorato insieme i circuiti maschile della media sicurezza e femminile alta sicurezza, grazie all’autorizzazione dell’Amministrazione penitenziaria di Roma.
Il direttore Romeo ha appoggiato il percorso, con la vicedirettrice Dora Scudieri. Decisivo l’impegno dell’area educativa delle Novate coordinata da Roberta Cavaterra e dalla polizia penitenziaria guidata dalla comandante Maria Teresa Filippone.
Il progetto è finanziato da Cassa delle Ammende e realizzato con il Comune di Piacenza (presente l’assessore Nicoletta Corvi e la garante dei diritti dei detenuti Mariarosa Ponginebbi) e il Centro servizi volontariato rappresentato da Raffaella Fontanesi. Tra il pubblico anche il magistrato di sorveglianza Marco Bedini e il GIP Vincenzo Riganti oltre a diverse autorità militari; Alberto Gromi già garante, l’imprenditore Bruno Giglio, il vicepresidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano Mario Magnelli.
Il progetto ha visto impegnato Mino Manni, regista professionista che negli ultimi anni ha messo in scena con i detenuti “Iliade” e “Odissea” e con le detenute “Troiane” e “Baccanti”, sempre con l’assistenza alla regia delle volontarie Maria Rosa Salamina e Carmela Caserta.
Quest’anno eccezionalmente hanno lavorato insieme i circuiti maschile della media sicurezza e femminile alta sicurezza, grazie all’autorizzazione dell’Amministrazione penitenziaria di Roma.
Il direttore Romeo ha appoggiato il percorso, con la vicedirettrice Dora Scudieri. Decisivo l’impegno dell’area educativa delle Novate coordinata da Roberta Cavaterra e dalla polizia penitenziaria guidata dalla comandante Maria Teresa Filippone.
Il progetto è finanziato da Cassa delle Ammende e realizzato con il Comune di Piacenza (presente l’assessore Nicoletta Corvi e la garante dei diritti dei detenuti Mariarosa Ponginebbi) e il Centro servizi volontariato rappresentato da Raffaella Fontanesi. Tra il pubblico anche il magistrato di sorveglianza Marco Bedini e il GIP Vincenzo Riganti oltre a diverse autorità militari; Alberto Gromi già garante, l’imprenditore Bruno Giglio, il vicepresidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano Mario Magnelli.