Ci avete tolto la speranza nel futuro, lasciateci almeno i videogiochi
Una delle poche esperienze in cui possiamo fare una vera esperienza di agency e lasciare un impatto significativo sul mondo che ci circonda
Francesco Toniolo
|3 settimane fa

Come puoi avere speranza nel domani, quando il presente è immerso in un eterno cinismo distruttivo? Oggi, il futuro viene troppo spesso immaginato al negativo o comunque per sottrazione. Anche quando non ci si immagina apocalissi termonucleari o distopie governative, le uniche idee sul campo sono legate al togliere o ridurre qualcosa. Il che non è sempre sbagliato, intendiamoci: ridurre i rifiuti è certamente meglio che aumentarli. Ma direi che il nocciolo della questione non dovrebbe essere questo. Sembra essersi persa la possibilità di progettare il futuro. E se non sappiamo progettarlo è perché si è persa addirittura la possibilità di immaginarne uno migliore. È forse questo il più grande furto generazionale compiuto negli ultimi anni. Non so se sia un’operazione ingegnerizzata da qualche forma di potere, potrebbe anche essere un effetto nato per caso, da una infinita sequenza di concause, ma il risultato è evidente. Non c’è un futuro da immaginare, se non in una versione ridotta e imbruttita del tempo presente. Nel migliore dei casi, un “more of the same”, come uno di quei sequel cinematografici fatti per spremere un brand di successo.
Se il “gioco” della contemporaneità è truccato – e lo è a nostro svantaggio – non dovremmo sperare di avere prima o poi una mano migliore. Dovremmo immaginare un altro “gioco”, con delle regole differenti. Ma non ci riusciamo. I più incendiari, i rivoluzionari, arrivano al massimo a sognare il crollo di tutto il castello di carte, ma quando poi gli chiedi cosa costruirebbero al suo posto, subentra il silenzio. Se tutto ciò è un prodotto del potere (qualunque esso sia), direi che il potere ha stravinto. Se è frutto del caso, siamo stati molto sfortunati.
Se il “gioco” della contemporaneità è truccato – e lo è a nostro svantaggio – non dovremmo sperare di avere prima o poi una mano migliore. Dovremmo immaginare un altro “gioco”, con delle regole differenti. Ma non ci riusciamo. I più incendiari, i rivoluzionari, arrivano al massimo a sognare il crollo di tutto il castello di carte, ma quando poi gli chiedi cosa costruirebbero al suo posto, subentra il silenzio. Se tutto ciò è un prodotto del potere (qualunque esso sia), direi che il potere ha stravinto. Se è frutto del caso, siamo stati molto sfortunati.

Lasciateci almeno la finzione dei videogiochi. Una delle poche occasioni in cui possiamo fare una vera esperienza di agency: abbiamo la possibilità di lasciare un impatto significativo sul mondo che ci circonda, abbiamo modo di trasformarlo seguendo un progetto coerente e ordinato. Certo, parliamo di mondi virtuali, ma il “cerchio magico” in cui si collocano le esperienze ludiche è sempre permeabile. Forse qualcuno, dopo una partita al suo videogioco preferito, potrebbe avere un’epifania improvvisa. Potrebbe avere un improvviso scatto propositivo, iniziando a immaginare un percorso alternativo. Magari non sufficientemente grande di giungere alla salvezza del mondo, ma almeno capace di ripensare al meglio la sua vita individuale, fuori dalle gabbie del pensiero.
Non puoi vincere, in un videogioco, se non ci provi. Sperimenti, cadi, fallisci, ti rialzi, riprovi. Se dopo un po’ hai imparato la lezione, alla fine ce la fai. La nostra realtà contiene un bel po’ di variabili in più, ma resta vero il fatto che se non provi nemmeno a immaginare un’alternativa – figuriamoci provarla! – sei sconfitto in partenza. Aver delegato questo pensiero a qualche bizzarro “guru” dei social fa parte della sconfitta che dicevo sopra. Il punto non è venderti una formula magica per il successo, quella non c’è. Non tutti partono dalle stesse condizioni e non tutti ce la faranno. Ma rinunciare persino all’immaginare un futuro differente è una resa incondizionata. Se un videogioco può farci sperimentare qualcosa di diverso, anche solo per finta, il tempo che gli abbiamo dedicato sarà tutto meno che sprecato.
Non puoi vincere, in un videogioco, se non ci provi. Sperimenti, cadi, fallisci, ti rialzi, riprovi. Se dopo un po’ hai imparato la lezione, alla fine ce la fai. La nostra realtà contiene un bel po’ di variabili in più, ma resta vero il fatto che se non provi nemmeno a immaginare un’alternativa – figuriamoci provarla! – sei sconfitto in partenza. Aver delegato questo pensiero a qualche bizzarro “guru” dei social fa parte della sconfitta che dicevo sopra. Il punto non è venderti una formula magica per il successo, quella non c’è. Non tutti partono dalle stesse condizioni e non tutti ce la faranno. Ma rinunciare persino all’immaginare un futuro differente è una resa incondizionata. Se un videogioco può farci sperimentare qualcosa di diverso, anche solo per finta, il tempo che gli abbiamo dedicato sarà tutto meno che sprecato.
I VIDEOGIOCHI CI AUTORIZZANO A SBAGLIARE (E A RIPROVARE)
Un paio di settimane fa ho partecipato come relatore a un evento. Una delle tante occasioni in cui mi trovo a parlare di videogiochi davanti a una platea di docenti e formatori. Devo dire che ho visto un bel cambiamento, nel corso degli anni. Gli scettici sui videogiochi sono molto meno rispetto al passato. Le domande e i dubbi non riguardano più la natura stessa del medium o il fatto che possa essere intrinsecamente “sbagliato”. Semmai, ci si interroga su come potrebbe essere utilizzato al meglio, viene chiesto quali sono i videogiochi migliori da usare in certi ambiti e cose del genere.
Tuttavia, a quell’evento che citavo prima è stata sollevata un’obiezione che non mi era mai capitato di sentire. Questo mi ha fatto piacere, perché penso che incontri del genere siano proprio utili per confrontarsi con chi ha delle perplessità. Il dubbio riguardava il processo trial and error alla base di molti videogiochi. Durante una partita possiamo provare certe soluzioni senza troppe preoccupazioni, perché anche se arriva il game over ci viene poi sempre fornita una nuova opportunità. Ricarichi il salvataggio precedente, ricominci la partita, provi qualche altra soluzione, finché riesci a superare l’ostacolo.
È un elemento iconico del medium videoludico, al punto da essere diventato una metafora di rinascita. Penso per esempio al film Ben X (2007) di Nic Balthazar: la storia di un adolescente belga, vittima di bullismo, che si rifugia in un videogioco di ruolo online. Tutta la vita di Ben viene letta attraverso parallelismi videoludici e il cambiamento di vita, che lo porterà a un significativo miglioramento, è proprio segnato da una simbolica morte e rinascita, un “game over” a cui segue una nuova partita. Sempre in ambito cinematografico, tutti i film basati sui loop temporali riprendono con ancor più chiarezza questo schema: un personaggio rivive più e più volte la stessa giornata, compiendo azioni differenti, fin quando riesce a spezzare questo loop. Un altro processo trial and error.
Un paio di settimane fa ho partecipato come relatore a un evento. Una delle tante occasioni in cui mi trovo a parlare di videogiochi davanti a una platea di docenti e formatori. Devo dire che ho visto un bel cambiamento, nel corso degli anni. Gli scettici sui videogiochi sono molto meno rispetto al passato. Le domande e i dubbi non riguardano più la natura stessa del medium o il fatto che possa essere intrinsecamente “sbagliato”. Semmai, ci si interroga su come potrebbe essere utilizzato al meglio, viene chiesto quali sono i videogiochi migliori da usare in certi ambiti e cose del genere.
Tuttavia, a quell’evento che citavo prima è stata sollevata un’obiezione che non mi era mai capitato di sentire. Questo mi ha fatto piacere, perché penso che incontri del genere siano proprio utili per confrontarsi con chi ha delle perplessità. Il dubbio riguardava il processo trial and error alla base di molti videogiochi. Durante una partita possiamo provare certe soluzioni senza troppe preoccupazioni, perché anche se arriva il game over ci viene poi sempre fornita una nuova opportunità. Ricarichi il salvataggio precedente, ricominci la partita, provi qualche altra soluzione, finché riesci a superare l’ostacolo.
È un elemento iconico del medium videoludico, al punto da essere diventato una metafora di rinascita. Penso per esempio al film Ben X (2007) di Nic Balthazar: la storia di un adolescente belga, vittima di bullismo, che si rifugia in un videogioco di ruolo online. Tutta la vita di Ben viene letta attraverso parallelismi videoludici e il cambiamento di vita, che lo porterà a un significativo miglioramento, è proprio segnato da una simbolica morte e rinascita, un “game over” a cui segue una nuova partita. Sempre in ambito cinematografico, tutti i film basati sui loop temporali riprendono con ancor più chiarezza questo schema: un personaggio rivive più e più volte la stessa giornata, compiendo azioni differenti, fin quando riesce a spezzare questo loop. Un altro processo trial and error.

Ma qual era l’obiezione cui facevo cenno poco fa? Riguardava l’effetto che tutto ciò potrebbe avere su un ragazzo. È possibile che, giocando ai videogiochi, finiamo per approcciarci con troppa leggerezza alle scelte della vita? È possibile che finiamo per pensare che non ci sono conseguenze?
Non è una domanda banale e qui non c’è modo di dare una risposta completa, ma voglio lasciare qualche spunto di riflessione, su cui poi ciascuno potrà eventualmente ragionare. È vero che ci sono diversi giovani che agiscono in maniera sconsiderata, senza riflettere sulle conseguenze delle loro azioni. Direi tuttavia che questo avveniva già ben prima che fossero presenti i videogiochi, come tutti i bambini sconsiderati descritti nella letteratura e nelle cronache. Una serie di giovani che hanno avuto modelli sbagliati, o che sono cresciuti in contesti in cui certi comportamenti non erano adeguatamente sanzionati, o semplicemente erano spinti da quell’esaltazione giovanile che a volte ti porta a sentirti invincibile, al di sopra di tutto e tutti. E anche oggi ce ne sono tanti. Tuttavia, direi che ce ne sono anche molti altri che hanno il problema opposto: sono totalmente paralizzati dalla paura del fallimento. Nella mia esperienza personale – che ovviamente non fa statistica – il secondo gruppo è di gran lunga il più diffuso. Di nuovo, le ragioni possono essere tante. Dai classici genitori troppo esigenti al confrontarsi con standard irraggiungibili visti sui social. Ma dobbiamo autorizzarci a sbagliare. Lo dico per primo a me stesso, perché anch’io a volte sento questa pressione. Dobbiamo operare al meglio delle nostre possibilità, riconoscendo tuttavia che a volte qualcosa andrà storto. Tuttavia, nella maggior parte dei casi questi inciampi non sono definitivi. Possiamo rialzarci e riprendere il cammino, cercando di fare tesoro di quanto imparato, per non ripetere l’errore. E penso fermamente che i videogiochi possono essere un’ottima palestra in tal senso. Non a caso vengono talvolta esplicitamente usati per attività guidate in cui dobbiamo imparare a padroneggiare qualcosa. Per esempio, certe aziende hanno delle simulazioni virtuali (simili a videogiochi) per i loro operai che devono manovrare macchinari molto costosi. In questo modo, l’operaio può iniziare a fare esperienza in un contesto dove può permettersi di sbagliare senza conseguenze, prima di passare al vero macchinario. Io i videogiochi li vedo così: palestre virtuali in cui impariamo in sicurezza.
Non è una domanda banale e qui non c’è modo di dare una risposta completa, ma voglio lasciare qualche spunto di riflessione, su cui poi ciascuno potrà eventualmente ragionare. È vero che ci sono diversi giovani che agiscono in maniera sconsiderata, senza riflettere sulle conseguenze delle loro azioni. Direi tuttavia che questo avveniva già ben prima che fossero presenti i videogiochi, come tutti i bambini sconsiderati descritti nella letteratura e nelle cronache. Una serie di giovani che hanno avuto modelli sbagliati, o che sono cresciuti in contesti in cui certi comportamenti non erano adeguatamente sanzionati, o semplicemente erano spinti da quell’esaltazione giovanile che a volte ti porta a sentirti invincibile, al di sopra di tutto e tutti. E anche oggi ce ne sono tanti. Tuttavia, direi che ce ne sono anche molti altri che hanno il problema opposto: sono totalmente paralizzati dalla paura del fallimento. Nella mia esperienza personale – che ovviamente non fa statistica – il secondo gruppo è di gran lunga il più diffuso. Di nuovo, le ragioni possono essere tante. Dai classici genitori troppo esigenti al confrontarsi con standard irraggiungibili visti sui social. Ma dobbiamo autorizzarci a sbagliare. Lo dico per primo a me stesso, perché anch’io a volte sento questa pressione. Dobbiamo operare al meglio delle nostre possibilità, riconoscendo tuttavia che a volte qualcosa andrà storto. Tuttavia, nella maggior parte dei casi questi inciampi non sono definitivi. Possiamo rialzarci e riprendere il cammino, cercando di fare tesoro di quanto imparato, per non ripetere l’errore. E penso fermamente che i videogiochi possono essere un’ottima palestra in tal senso. Non a caso vengono talvolta esplicitamente usati per attività guidate in cui dobbiamo imparare a padroneggiare qualcosa. Per esempio, certe aziende hanno delle simulazioni virtuali (simili a videogiochi) per i loro operai che devono manovrare macchinari molto costosi. In questo modo, l’operaio può iniziare a fare esperienza in un contesto dove può permettersi di sbagliare senza conseguenze, prima di passare al vero macchinario. Io i videogiochi li vedo così: palestre virtuali in cui impariamo in sicurezza.

