Sara Bertelà: «Il mio pianto è il pianto di tutte le altre madri»

La pluripremiata attrice ha il ruolo di madre in "Sei personaggi in cerca d'autore" di Luigi Pirandello, domani e giovedì per la Prosa al Teatro Municipale

Leonardo Chiavarini
15 aprile 2025|4 giorni fa
Sara Bertelà, al centro con Valerio Binasco in una scena © Libertà/Virginia Mingolla
Sara Bertelà, al centro con Valerio Binasco in una scena © Libertà/Virginia Mingolla
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Domani e giovedì, alle ore 21, i "Sei personaggi in cerca d’autore” da Luigi Pirandello calcheranno la scena del Teatro Municipale in uno spettacolo del Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale per la regia di Valerio Binasco. Sarà l’ultimo spettacolo al Municipale della Stagione di Prosa 2024/2025 curata da Teatro Gioco Vita, la quale proseguirà al Teatro Filodrammatici con il cartellone Altri Percorsi.
In vista dell’appuntamento di domani e mercoledì, abbiamo avuto il piacere di intervistare Sara Bertelà, nota e pluripremiata attrice teatrale, cinematografica e televisiva, che nello spettacolo di Binasco interpreta uno dei Sei personaggi, forse il più profondo e complesso: la madre.“
Sara Bertelà, partirei da Piacenza. La nostra città l’ha già ospitata altre volte. Ha ricordi particolari?
«A Piacenza, ho già avuto il piacere di recitare in due spettacoli importantissimi per la mia vita: “Amoretto” di Schnitzler per la regia di Massimo Castri e “Due partite”, scritto e diretto da Cristina Comencini. Quest’ultimo, tra l’altro, è stato il primo spettacolo che ho fatto da madre, con mio figlio di tre mesi che era in tournée con me».
E adesso torna a Piacenza con uno dei classici del teatro novecentesco, uno spettacolo che ha riscosso grande successo nelle sue tappe italiane. Insomma, aveva ragione Calvino quando diceva che “il classico è un libro (o un’opera) che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”? Da attrice si sente diverso il peso della parola dei classici?
«Sì, penso che Calvino avesse ragione. Il classico è un testo che ha il pregio di essere perennemente contemporaneo. E ciò che lo differenzia è anche qualcosa connesso alla lingua, alla parola. Lo spiegherei proprio citando Pirandello e i suoi “Sei personaggi”…».
Un'altra scena di "Sei personaggi in cerca d'autore"
Un'altra scena di "Sei personaggi in cerca d'autore"
Certo, dica pure.
«Pirandello, nella Prefazione all’edizione del 1925 dei “Sei personaggi in cerca d’autore”, scrive di voler rappresentare figure, vicende, paesaggi che siano legati a un senso della vita, a qualcosa di profondo e universale. Credo che questo aspetto si avverta più in generale nella parola dei classici, dei grandi drammaturghi. C’è una fisicità particolare nella loro parola, tanto che Pirandello, in quel passaggio, utilizza il verbo “imbevono”, come a suggerire una liquidità della lingua che cerca di attingere al senso, all’assoluto. E da attrice, per completare la sua domanda, io non voglio solo stare sul palco per rappresentare, ma per essere un ponte tra quelle parole così profonde e il pubblico».
Si riferisce alla parola come a qualcosa di vivo, di fisico. È così ?
«Sì, assolutamente. È un periodo in cui penso alle parole di Han Kang, la scrittrice sudcoreana premio Nobel. Nel suo libretto “Nella notte più buia il linguaggio ci chiede di cosa siamo fatti”, lei racconta di sentire la lingua quasi fosse una presenza fisica, tridimensionale. E questo concetto si lega bene alla parola che si imbeve del senso, citata da Pirandello, e poi al ruolo di noi attori che, con il corpo, l’espressione, la voce, cerchiamo di restituire tutto ciò che quella parola contiene».
Il gruppo di interpreti 
Il gruppo di interpreti 
Veniamo ai Sei personaggi. Cercano un autore, chiedono di essere rappresentati. Le domando questo: oggi, l’arte è forse miope di fronte a certi personaggi? Ci sono spicchi di realtà che sarebbe il caso di raccontare di più?
«Ancor prima che di un autore, questi personaggi sono in cerca d’amore, come è capitato di dire, con un lapsus, a un giovane collega della compagnia. Tra i Sei, però, si riscontrano delle differenze in termini di volontà: ad esempio, il padre e la figliastra, sì , loro vogliono essere rappresentati, vogliono vivere. Il mio personaggio, la madre, invece no. Per lei essere rappresentata significherebbe rivivere ciò che lei definisce “lo strazio”. Mentre, per quel che riguarda la realtà odierna, penso che essa venga ben rappresentata in tutti i suoi aspetti. Trovo che le canzoni, ad esempio, siano molto efficaci specie per le giovani generazioni. Mi viene in mente il rap, in particolare. Anche se occorre fare una precisazione più ampia. Oggi, siamo immersi in una comunicazione costante e siamo abbastanza informati su tragedie che avvengono lontane migliaia di chilometri da noi: è il beneficio (o maleficio) di internet. Questo fa sì che, spesso, riusciamo ad avere una buona voce cronachistica sulla realtà; per l’arte, invece, il discorso è un po’ diverso: la voce poetica ha bisogno di più tempo per svilupparsi, specie se si riferisce a fatti tragici».
Veniamo al cuore del discorso: parliamo del suo personaggio, la madre. È una maschera di dolore. Ce la presenti.
«È un personaggio umanissimo, il più umano dei Sei. “È, insomma, natura – scrive Pirandello –. Una natura fissata in una figura di madre”. La madre soffre, soffre moltissimo per i suoi figli e il suo dolore è eterno, implacabile. Ancor di più che per averli perduti, lei soffre perché loro hanno perso la vita e non sono più presenti a loro stessi».