Da oggi le “Storie nere” raccontate da Raffaella Fanelli: il delitto Pecorelli
20 Marzo 2025 12:04
C’è un magnetismo irresistibile che attrae verso certi casi di cronaca nera e giudiziaria. Poli negativi che accendono un interesse, alcune di queste storie restano sospese, senza un colpevole, senza una chiusura indagini o con indagini che si riaprono all’improvviso come ombrelli “e dobbiamo averne paura”, dice Raffaella Fanelli, giornalista televisiva, autrice di podcast, volto (cercando di farla breve) di “Quarto Grado”, “Chi l’ha visto?” o “Lineagialla”, una nerista di razza che da trent’anni scova fascicoli dimenticati negli archivi dei tribunali, mette una telecamera di fronte ad assassini, mostri da prima pagina che le rivelano verità mai dette, ma anche innocenti scambiati per colpevoli. E che da oggi, ogni giovedì, scriverà per Libertà, “perché me l’ha chiesto il direttore Gian Luca Rocco, che stimo, è un amico di lunga data. Non si dice no agli amici, giusto? “. Giusto.
Ed è di giustizia che parliamo. Dicevi che dobbiamo avere paura: perché?
“Perché spesso i veri colpevoli restano in giro, ma anche perché troppe indagini non si chiudono e potrebbe toccare anche a noi di restare invischiati in meccanismi così atroci. Prendiamo in esame solo le ultime due settimane: il caso Pecorelli, di cui scrivo con una novità in anteprima, ma anche Andrea Sempio, ora indagato per l’omicidio Chiara Poggi del 2007; Manuela Murgia, che nel 1995 avevano trovato morta archiviando il caso come incidente, ora si riapre l’inchiesta con l’ipotesi di omicidio. Poi c’è la Cassazione, che ha annullato l’assoluzione per la famiglia Mottola sull’omicidio di Serena Mollicone, o che ha disposto un nuovo processo per l’omicidio del vicebrigadiere Cerciello Rega”.
Vedi un denominatore comune in ognuno di questi casi?
“C’è incompetenza, scene del crimine compromesse, piccole crepe che diventano voragini. Ma non solo. Se la giustizia funzionasse, non avrei potuto far riaprire le indagini per l’omicidio Pecorelli: eppure non ho fatto altro che prendere verbali che erano sempre stati lì, alcuni nel fascicolo del caso Moro, chissà sotto a quanti magistrati sono passati. Credo che talvolta le prove siano volutamente ignorate”.
C’è una storia che ti offende più di altre e che dovrebbe offendere tutti noi?
“Il delitto di via Poma, che è stato anche il mio primo caso da cronista. Zeppo di errori, bugie e depistaggi. Mi indigna che un uomo come Pietrino Vanacore sia stato in carcere e che si sia voluto credere al suo suicidio. O che l’ex fidanzato Raniero Busco sia stato tenuto sette anni sulla graticola pur sapendo che era innocente”.
Non hai alcuna pietà nei confronti degli inquirenti.
“Nessuna: il nostro ordinamento non prevede responsabilità per i magistrati che sbagliano, pur avendo in mano la vita delle persone. Vanno in giro senza nascondersi ed è una vergogna”.
Non credi che a volte contino le pressioni esterne, che in buona fede i magistrati siano sopraffatti dalla fretta di trovare un colpevole?
“Il loro dovere è arrivare alla verità, non devono trovare “un” colpevole, ma “il” colpevole. Prendiamo il caso Poggi: al di là dei soldi pubblici buttati, e sono tantissimi, c’è un dovere nei confronti della famiglia, che soffre un dolore insuperabile e il cui destino è legato a tracce di fumo nei capelli della figlia o a uno scontrino”.
Con chi, tra i familiari dei casi che hai seguito, tieni i contatti più stretti?
“Rosita Pecorelli ha 90 anni e non vede quasi più. Dal 2019 aspetta un rinvio a giudizio che non arriva, mi chiama a giorni alterni per chiedermi se ho qualche novità sul fratello Mino. In un Paese civile, certe cose non dovrebbero accadere”.
Lasciaci con un ultimo dubbio su un caso dato per chiuso.
“Avetrana: Michele Misseri, reo confesso, e Sarah, ritrovata proprio sotto all’albero dove lo zio era stato violentato da bambino. Ma lui è fuori”.
LEGGI “STORIE NERE – IL DELITTO PECORELLI” DI RAFFAELLA FANELLI SU LIBERTÀ
© Copyright 2025 Editoriale Libertà