Dall'esperienza del blackout a una forma spontanea di communitas

Il parere dei sociologi Elizabeth Goodstein, Victor Turner e dell'antropologo Marco Aime

Irene La Ferla
6 maggio 2025|9 giorni fa
Dall'esperienza del blackout a una forma spontanea di communitas
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Il 28 aprile 2025, un blackout senza precedenti ha colpito la penisola iberica e parte della Francia meridionale, lasciando milioni di persone senza elettricità per diverse ore. In Spagna, la rete elettrica ha subito una perdita improvvisa di 15 gigawatt, pari al 60% della domanda nazionale, causando l'interruzione di servizi essenziali come trasporti, comunicazioni e forniture idriche. Cellulari inutilizzabili, Wi-Fi assente, nessun rumore elettronico a riempire il vuoto. Eppure, proprio in quel buio, molte persone hanno cominciato a ridere, a suonare la chitarra sui balconi, a parlare con i vicini sconosciuti. Scene che a qualcuno avranno ricordato l’infanzia, ad altri un’epoca perduta.
Ma cosa succede davvero quando viene a mancare l'elettricità – e con essa il costante flusso di stimoli digitali? La risposta potrebbe trovarsi nella noia, intesa non come vuoto sterile ma come terreno fertile per la creatività e la connessione umana. La sociologa canadese Elizabeth Goodstein, nel suo saggio Experience Without Qualities: Boredom and Modernity (2005), interpreta la noia moderna come un sintomo della nostra alienazione nella società capitalista, ma anche come una potenziale soglia verso nuove forme di esperienza. Il blackout, in questo senso, ci forza a sostare in quel limbo, spingendoci a reinventare il tempo e a riscoprire il valore dello stare insieme.
La mancanza di elettricità ha interrotto i ritmi produttivi, obbligando molti a fermarsi. Ed è proprio nella sospensione delle routine che possono nascere momenti autentici di socialità.
Il sociologo Victor Turner parlava di communitas, una forma di comunità temporanea, spontanea e paritaria, che emerge nei momenti di "liminalità" – ovvero quando le strutture sociali ordinarie vengono sospese. Durante un blackout, i ruoli sociali perdono centralità: non c’è differenza tra il medico e il panettiere, l’anziano e il giovane. Tutti sono nella stessa condizione, e questa parità improvvisa crea il terreno perfetto per relazioni genuine. Il concetto è stato ripreso anche dall’antropologo italiano Marco Aime, che ha approfondito la communitas come esperienza intensa, spesso passeggera, ma fondamentale per ricordarci che l’essere umano è, prima di tutto, un essere relazionale. Nella sua opera Comunità. Il volto sociale dell’uomo (Einaudi, 2001), Aime scrive: “La comunità è ciò che accade quando le persone condividono un tempo, uno spazio, e un’emozione”.
Nel blackout, privati degli schermi e delle notifiche, molti hanno riscoperto una forma di tempo collettivo e rallentato. Si sono create situazioni che nella normalità iperconnessa sembrano impossibili: chi ha acceso una candela per raccontare storie ai bambini, chi ha suonato una melodia alla finestra, chi ha parlato per ore con qualcuno che di solito saluta appena. Queste communitas non durano per sempre, certo. Ma lasciano un segno. Ci ricordano che la tecnologia è utile, ma non può sostituire del tutto il calore umano.