Francesco Rossetti, fisioterapista volontario in Africa
Accolto dall’abbraccio del villaggio di Matiri: "Esperienza meravigliosa, mi sono sentito vicino ai pazienti"
Elisa Pagani
July 5, 2025|1 giorno fa

Rossetti con il caposala del suo reparto
«L'insegnamento più grande che ho appreso in Africa? Non dobbiamo dare nulla per scontato». Non ha dubbi il fisioterapista Francesco Rossetti, piacentino classe 2002, da poco tornato in città dopo un’esperienza in grado di modificare le proprie prospettive sulle comodità di cui disponiamo, sui diritti di cui godiamo, sulla vita in generale. Per due mesi, infatti, Francesco è stato accolto dall’abbraccio del villaggio di Matiri, Kenya. «Sono partito a inizio maggio senza sapere cosa aspettarmi - ha raccontato il ventiduenne - mentre studiavo all’Università Bicocca di Milano, tramite una collega più grande ho avuto modo di conoscere la storia del medico missionario italiano Beppe Gaido, che operava proprio a Matiri. Avevo già svolto un’esperienza simile in India, tra un lebbrosario di Mumbai e l'area rurale del Rajasthan. Da lì ero tornato con tanta voglia di fare; così, quando ho saputo che Gaido era in cerca di volontari, ho deciso di partire».
Francesco ha accettato la sfida ed è volato in Kenya; qui si è lasciato stregare dalla savana, dagli odori, dai suoni di un luogo nuovo e diverso da quanto avesse mai visto prima. Matiri è un villaggio collocato nel centro del Paese, basato principalmente sull’economia di sussistenza e con una forte presenza cattolica. Per questo, lì la domenica è sempre una festa in cui si deve indossare l'abito "buono", nonché l’unico giorno in cui a volte si consuma la carne, per molti troppo costosa per essere acquistata quotidianamente. Nel resto della settimana, Francesco si impegnava come fisioterapista volontario al St. Orsola Catholic Mission Hospital, supportando medici, fisioterapisti e tecnici ortopedici locali nel trattamento dei pazienti.
«All’inizio non è stato semplice - ha spiegato - le lingue ufficiali del Kenya sono inglese e il kiswahili, ma le persone anziane parlano più spesso il dialetto locale, il kimeru. Dopo un primo periodo in cui gli studenti tirocinanti dell'ospedale mi hanno gentilmente fatto da interpreti, ho deciso di imparare in prima persona le basi di questa lingua, per potermi interfacciare meglio con i miei pazienti. È stato utile non solo a livello professionale, ma anche a livello umano: mi sono sentito ancora più vicino a chi avevo davanti». Oltre a effettuare visite fisioterapiche osservando il metodo di lavoro kenyota, Francesco ha preso l'abitudine di organizzare anche un «gruppo mal di schiena», ovvero brevi lezioni di ginnastica dolce per le molte pazienti che soffrivano di questa problematica (in quell'area sono le donne a occuparsi dei lavori pesanti); il gruppo si è ingrandito di giorno in giorno anche grazie a chi, pur non avendo bisogno di questo tipo di trattamento, decideva di unirsi per pura curiosità.
Alla fine, con questa attività Francesco ha curato non solo il dolore fisico, ma anche l’anima dei pazienti, che sono tornati a sorridere dopo tanta sofferenza. Il sistema sanitario kenyota, però, è fatto di luci e ombre: «C’è tanta corruzione e si guarda molto al guadagno - non ha paura di ammettere Francesco - in alcuni casi, se i pazienti non sono grado di pagare sull’unghia, ai medici viene impedito di operare; questo anche se il paziente stesso lo necessita in modo urgente. Personalmente, mi è stato proibito di effettuare una visita fisioterapica su un bambino che ne aveva bisogno, perché sua madre non poteva permettersela; a poco è servito insistere sul fatto che mi sarei assunto l'impegno come volontario e che quindi non avrei necessitato di essere pagato». Nel tempo libero, Francesco ha conosciuto anche altre realtà di volontariato a Matiri; una di queste è la «Cà dei Cit», fondata dalla missionaria italiana Rita «Makena» Drago e che ospita bambini e giovani orfani, supportandoli nei loro percorsi di studio. «Consiglio a tutti questo tipo di esperienza - ha concluso Francesco - oltre a farti conoscere persone meravigliose, è in grado di farti capire quanto il mondo sia variegato al di fuori di casa nostra. Non bisogna avere competenze mediche per essere volontari in Africa: basta mettersi in gioco, offrendo ciò che si ha e si sa fare».