“Le nostre radici sono lì”: il viaggio di Manuel Ferrari nei 750 tesori della diocesi
Tra i suoi luoghi del cuore, l’architetto non ha dubbi: la chiesetta della Pietra Perduca. Quando ne parla, la voce cambia, si fa più lenta, quasi rispettosa
Matteo Prati
|1 settimana fa

Nell'ultima puntata de «Lo specchio di Piacenza», su Telelibertà, la giornalista Nicoletta Bracchi ha incontrato l’architetto Manuel Ferrari, alla guida dell’Ufficio per i beni culturali ecclesiastici della Diocesi di Piacenza-Bobbio. Un ruolo complesso, che «controlla» beni sparsi in un territorio vasto e articolato, dalle chiese di città ai piccoli oratori incastonati nei borghi dell’Appennino. «È una responsabilità enorme – racconta Ferrari – abbiamo circa 750 beni in diocesi, e molti si trovano nei nostri paesi di montagna, luoghi dove le comunità che se ne prendevano cura stanno lentamente scomparendo. È un patrimonio eccezionale, ma fragile, e il rischio è reale».
Per Ferrari la tutela passa attraverso un lavoro costante di dialogo e sensibilizzazione: «Serve che istituzioni e comunità camminino insieme. La gente deve capire che le radici sono lì». Arrivato in Curia vent’anni fa, dal 2013 Ferrari è direttore dell’Ufficio e delegato vescovile per i rapporti con le soprintendenze e responsabile dell’edilizia di culto. Coordina musei, archivi, collezioni e segue restauri, allestimenti, mostre e progetti di valorizzazione. Quando gli si chiede cosa renda unico il patrimonio piacentino, risponde senza esitazioni: «La sua diffusione capillare. Ogni paese, anche il più piccolo, ha la sua chiesa. Custodirlo è una missione, o almeno ci proviamo. Le persone devono avvertire quei luoghi come propri. E sorprende vedere quanto entusiasmo, ad esempio, mostrano i giovani durante le visite». Nel corso della puntata scorrono immagini pubbliche e private: il lavoro in ufficio, i cantieri, la famiglia.
«La passione nasce da mio nonno Elio – racconta – un tuttofare d’altri tempi. Mi affascinava la sua capacità di costruire. Sono architetto anche perché ho sempre sognato di lavorare nei beni culturali. Un privilegio, sei a contatto con la bellezza ogni giorno». Nel 2015, a 55 metri d’altezza, scrutando la città dal campanile della Cattedrale, in occasione di Expo: «Abbiamo avuto il coraggio di portare i piacentini lassù. Volevamo farli arrivare vicino all’Angil dal Dom. C’era anche il vescovo Gianni Ambrosio». Nel 2016 l'idea della grande mostra su Guercino, con la salita alla cupola: «È stato un momento decisivo. I progetti buoni, quando trovano ascolto, iniziano a rotolare da soli».
Il percorso dell’architetto incrocia anche grandi storie d’arte, come quella della Madonna Sistina di Raffaello, partita da Piacenza, da San Sisto, nel Settecento per Dresda: «Da cinquant’anni si prova a riaverla almeno in prestito. Nel 2020 abbiamo celebrato l’anniversario di Raffaello con un progetto tecnologico che l’ha fatta «ritornare» virtualmente nella sua chiesa». Ferrari parla degli affetti, cardine della sua vita: «Mia moglie Astrid è un faro. Da lei ho imparato a tenere insieme mente e cuore».
La
bellezza che resta: Manuel Ferrari e la memoria dei luoghi sacri
Tra i suoi luoghi del cuore, l’architetto Manuel Ferrari non ha dubbi: la chiesetta della Pietra Perduca. Quando ne parla, la voce cambia, si fa più lenta, quasi rispettosa. «Una bellezza straordinaria», dice, come se le parole non bastassero. E aggiunge: «Un unicum: la roccia nuda, l’acqua che sgorga dalle cavità naturali, un santuario sospeso tra natura e spiritualità». Per Ferrari quel minuscolo edificio incastonato nel paesaggio non è solo un luogo da visitare, ma un frammento potentissimo della nostra identità: un incontro primordiale tra fede e terra, tra la mano dell’uomo e il respiro antico dell’Appennino. «Quando sono lì – racconta – ho la sensazione che tutto si ricongiunga: la storia, la devozione popolare, la bellezza ruvida della nostra montagna. È uno di quei posti dove si torna per ritrovarsi. Ma se dovessi suggerire un itinerario ideale a chi arriva per la prima volta, indicherei anche il cammino di San Colombano, e poi Santa Maria di Campagna, Piazza Cavalli, la Cattedrale, San Savino. Collaborare con vescovi come Gianni Ambrosio e Adriano Cevolotto è un dono: la loro fiducia è una forza».
E quando gli si chiede un simbolo della cultura italiana, un luogo che per lui rappresenti la radice profonda della tradizione cattolica, Ferrari pensa a Roma e non esita: «La necropoli vaticana, fino alla tomba di Pietro. Scendere laggiù – spiega – è come attraversare i secoli. E alla fine del percorso la tomba dell’Apostolo: lì percepisci cosa significhi davvero avere radici». Tutte le puntate de «Lo specchio» sono disponibili on demand sul sito di Libertà.

