In Digital Requiem un padre cerca le memorie digitali del figlio perduto
Il bellissimo podcast di Francesco Perlini e Nicola Vasini prodotto da Il Post parte dall’Italia e arriva in America e in Israele
Claudia Labati
July 6, 2025|14 giorni fa

I podcaster Nicola Vasini e Francesco Perlini
C’è una sensazione che molti di noi conoscono bene: quella morsa allo stomaco quando realizzi di aver perso per sempre qualcosa di prezioso. Anni fa ho vissuto in prima persona quella che ancora oggi considero una delle mie peggiori distrazioni: cambiando telefono, senza backup né sincronizzazione, ho perso diverse di foto di mia figlia di quando aveva appena un anno. Mi sono data della stupida per non aver “salvato” quelle memorie di famiglia, ma allo stesso tempo mi sono interrogata su quanto la nostra vita fosse legata ad una memoria digitale. Quando mi è capitato questo podcast tra le scelte, non ho esitato un secondo.
Digital Requiem è un bellissimo podcast di Francesco Perlini e Nicola Vasini prodotto da Il Post che parte dalla provincia italiana per poi viaggiare tra America, Silicon Valley, Israele e sì anche Genova. È un viaggio intimo nel dolore di un padre che cerca disperatamente di recuperare gli ultimi frammenti digitali di suo figlio.
Nel 2015, Leonardo Fabbretti diventa involontariamente famoso. La sua storia finisce sui giornali di tutto il mondo: suo figlio Dama, 13 anni, è morto di cancro, e lui non riesce a sbloccare l’iPhone del ragazzo per recuperare le ultime foto. Non conosce il codice di accesso, e con esso sembrano perdute per sempre le ultime tracce digitali di suo figlio. Si percepisce il rispetto profondo per il dolore di Leonardo, che si è aperto con una generosità commovente, condividendo dettagli intimi della loro storia familiare che parte da un’adozione felice. Dama rivive con le sue battute e la sua ironia attraverso le parole del papà: si sente che lui è un ragazzino speciale.
Da qui parte una ricerca che dura parecchio tempo: Leonardo prima prova naturalmente milioni di combinazioni possibili per poi rivolgersi ad Apple direttamente. Che no, questo codice non lo condivide per non violare la privacy. Ed è qui che emerge la domanda centrale, quella che non ha risposte semplici: cosa si fa, cosa si dovrebbe fare in questi casi? Il nostro smartphone è diventato una protesi del nostro corpo, della nostra vita. Contiene tutto: ricordi, segreti, intimità. Una volta bastava bruciare lettere e diari, ma oggi?
La ricerca ostinata di Leonardo continua, interrogando esperti che di professione violano questi sistemi per risolvere crimini. Ogni voce aggiunge un tassello a un puzzle che forse non ha una soluzione univoca. Nello stesso periodo, l’FBI stava facendo ad Apple una richiesta simile per accedere ai dati di un telefono il cui proprietario era morto, e intorno a queste due storie parallele si sviluppò un dibattito internazionale sui temi della privacy e dell’eredità digitale.
La riflessione che faccio è che questa è un’ulteriore tematica digitale che a breve andrà regolata da un punto di vista legale. La questione che solleva è davvero complessa e attualissima: è paradossale come i nostri ricordi più preziosi possano diventare inaccessibili proprio a causa delle protezioni che mettiamo per tutelarli. Come giustamente sottolineato dagli autori «cosa succede quando una cosa nuova come l’era digitale incontra una cosa di sempre come la morte?». Bravissimi a trattare questo argomento con grande tatto e competenza necessaria.
Quattro puntate che lasciano una domanda aperta: in un mondo sempre più digitale, chi dovrebbe avere le chiavi dei nostri ricordi più preziosi? Un podcast che non offre risposte facili, ma pone domande essenziali su come gestiremo, come società, l’eredità digitale di chi amiamo. Perché prima o poi, questa storia potrebbe riguardare tutti noi.
Digital Requiem è un bellissimo podcast di Francesco Perlini e Nicola Vasini prodotto da Il Post che parte dalla provincia italiana per poi viaggiare tra America, Silicon Valley, Israele e sì anche Genova. È un viaggio intimo nel dolore di un padre che cerca disperatamente di recuperare gli ultimi frammenti digitali di suo figlio.
Nel 2015, Leonardo Fabbretti diventa involontariamente famoso. La sua storia finisce sui giornali di tutto il mondo: suo figlio Dama, 13 anni, è morto di cancro, e lui non riesce a sbloccare l’iPhone del ragazzo per recuperare le ultime foto. Non conosce il codice di accesso, e con esso sembrano perdute per sempre le ultime tracce digitali di suo figlio. Si percepisce il rispetto profondo per il dolore di Leonardo, che si è aperto con una generosità commovente, condividendo dettagli intimi della loro storia familiare che parte da un’adozione felice. Dama rivive con le sue battute e la sua ironia attraverso le parole del papà: si sente che lui è un ragazzino speciale.
Da qui parte una ricerca che dura parecchio tempo: Leonardo prima prova naturalmente milioni di combinazioni possibili per poi rivolgersi ad Apple direttamente. Che no, questo codice non lo condivide per non violare la privacy. Ed è qui che emerge la domanda centrale, quella che non ha risposte semplici: cosa si fa, cosa si dovrebbe fare in questi casi? Il nostro smartphone è diventato una protesi del nostro corpo, della nostra vita. Contiene tutto: ricordi, segreti, intimità. Una volta bastava bruciare lettere e diari, ma oggi?
La ricerca ostinata di Leonardo continua, interrogando esperti che di professione violano questi sistemi per risolvere crimini. Ogni voce aggiunge un tassello a un puzzle che forse non ha una soluzione univoca. Nello stesso periodo, l’FBI stava facendo ad Apple una richiesta simile per accedere ai dati di un telefono il cui proprietario era morto, e intorno a queste due storie parallele si sviluppò un dibattito internazionale sui temi della privacy e dell’eredità digitale.
La riflessione che faccio è che questa è un’ulteriore tematica digitale che a breve andrà regolata da un punto di vista legale. La questione che solleva è davvero complessa e attualissima: è paradossale come i nostri ricordi più preziosi possano diventare inaccessibili proprio a causa delle protezioni che mettiamo per tutelarli. Come giustamente sottolineato dagli autori «cosa succede quando una cosa nuova come l’era digitale incontra una cosa di sempre come la morte?». Bravissimi a trattare questo argomento con grande tatto e competenza necessaria.
Quattro puntate che lasciano una domanda aperta: in un mondo sempre più digitale, chi dovrebbe avere le chiavi dei nostri ricordi più preziosi? Un podcast che non offre risposte facili, ma pone domande essenziali su come gestiremo, come società, l’eredità digitale di chi amiamo. Perché prima o poi, questa storia potrebbe riguardare tutti noi.
L'EREDITA' DIGITALE IN ITALIA: UNA NORMATIVA DA COLMARE
In Italia, non esiste ancora una normativa specifica che regoli espressamente la trasmissibilità del patrimonio digitale dopo la morte, nonostante il tema sia sempre più urgente. Secondo la legge italiana, gli eredi hanno il diritto di ricevere la corrispondenza del defunto, e questa regola vale anche per la posta elettronica. Con i provider italiani, dunque, non ci sono problemi, ma con quelli stranieri, che sono i più numerosi, possono sorgere molte difficoltà.
Il Garante della Privacy ha già emanato alcune linee guida, suggerendo agli utenti di verificare su ogni social quali strumenti si hanno a disposizione per decidere cosa fare dei propri profili o chi delegare in caso di decesso. Con una pronuncia recente si è stabilito che il profilo Facebook di un utente deceduto può essere ereditato, ma ogni piattaforma ha le proprie regole: Google offre un “gestore account inattivo”, Apple ha procedure specifiche per gli eredi, mentre altre piattaforme possono richiedere documenti legali che spesso si rivelano insufficienti. La questione è complessa perché incrocia diritto delle successioni, tutela della privacy e normative internazionali. In Europa, il GDPR ha introdotto alcune disposizioni, ma restano zone grigie. Gli avvocati specializzati in diritto digitale consigliano di redigere un “testamento digitale” che includa un inventario degli account online e delle relative password. La via più breve per gestire l’eredità digitale è quella di lasciare a un parente/amico fidato tutte le credenziali di accesso con le istruzioni sul cosa fare in caso di morte. Una soluzione pratica in attesa di una regolamentazione più chiara che tenga conto delle sfide dell’era digitale.
Il Garante della Privacy ha già emanato alcune linee guida, suggerendo agli utenti di verificare su ogni social quali strumenti si hanno a disposizione per decidere cosa fare dei propri profili o chi delegare in caso di decesso. Con una pronuncia recente si è stabilito che il profilo Facebook di un utente deceduto può essere ereditato, ma ogni piattaforma ha le proprie regole: Google offre un “gestore account inattivo”, Apple ha procedure specifiche per gli eredi, mentre altre piattaforme possono richiedere documenti legali che spesso si rivelano insufficienti. La questione è complessa perché incrocia diritto delle successioni, tutela della privacy e normative internazionali. In Europa, il GDPR ha introdotto alcune disposizioni, ma restano zone grigie. Gli avvocati specializzati in diritto digitale consigliano di redigere un “testamento digitale” che includa un inventario degli account online e delle relative password. La via più breve per gestire l’eredità digitale è quella di lasciare a un parente/amico fidato tutte le credenziali di accesso con le istruzioni sul cosa fare in caso di morte. Una soluzione pratica in attesa di una regolamentazione più chiara che tenga conto delle sfide dell’era digitale.