Il difficile e delicato ruolo dei papà-mister
Cosa deve fare un allenatore che guarda la partita del proprio figlio? Ciotola: «Meglio mordersi la lingua, parlare poco anche a casa»

Michele Rancati
|6 mesi fa

Massimo Ciotola
Nel nostro viaggio dentro il caldo giovanile piacentino non potevamo che imbatterci anche in una delle situazioni più delicate: gli allenatori che hanno figli che giocano.
Ne esistono di due tipi.
Innanzitutto coloro che, per volontà o quasi per caso, si trovano a essere mister del proprio fanciullo.
«A me non è ancora capitato spiega Massimo Ciotola, attuale allenatore della Castellana Fontana, prima alla Bobbiese e nel settore giovanile del San Giuseppe - ma non escludo a priori che in futuro possa accadere con Lorenzo. In generale, penso che a fare la differenza sia sempre la correttezza delle persone: se si accetta di allenare proprio figlio, bisogna sapere che si avranno tutti gli occhi addosso e l'unico modo per evitare le polemiche è trattare tutti allo stesso modo. Le mie parole d'ordine sono sempre state regole e meritocrazia, basta seguirle e tutto funziona, soprattutto fuori dal campo».
C’è poi il capitolo degli allenatori-genitori che vanno a vedere le partire dei propri figli, in particolare quando sono nel settore giovanile.
In questo caso, viene la tentazione di intervenire, dare consigli, spiegare qualcosa che rischia magari di essere in contraddizione con il “vero” mister del ragazzo? «Sinceramente la tentazione c’è, ma vale per tutti i genitori - risponde Ciotola - ma anche in questo caso serve intelligenza. Io vado molto volentieri a vedere Lorenzo, ma non mi sono mai permesso di intervenire, per rispetto di un mio collega. Così come non vorrei che qualcuno da fuori interferisse con il mio lavoro».
È umano, però, crearsi una propria idea: «Certamente, ma penso che per il bene di tutti, ragazzi per primi, sia meglio tenere i propri giudizi per sé. Mi è capitato di dovermi mordere la lingua, ma mai per ragioni tecniche o tattiche. Faccio fatica a stare zitto, ma ci riesco, quando vedo mancanza di rispetto e di meritocrazia, proprio come dicevo prima. E poi quando sento altri genitori inveire contro avversari, arbitro o addirittura qualcuno dei nostri». Questo in pubblico. A casa, invece? «Ora che mio figlio è grande (ha 17 anni, è di proprietà del Piacenza, ha giocato nel Gotico Garibaldina, ndr) - chiarisce Ciotola - mi piace molto parlare di calcio con lui, dargli anche la mia opinione su come ha giocato, sugli aspetti individuali che deve migliorare, fargli anche i complimenti. Ma sempre senza entrare nelle valutazioni che competono al suo mister, dalla formazione alla tattica».
Ciotola ha allenato tanti anni nelle giovanili del San Giuseppe: «Il responsabile Gianfranco Serioli ci aveva dato una regola d'oro: nessun rapporto personale con i genitori, solo incontri 'ufficiali” alla presenza anche dei dirigenti. Devo dire che era molto più semplice lavorare, senza tante pressioni esterne, se c’era qualche lamentela la gestiva la società. Sono orgoglioso divedere che l'impronta che abbiamo dato in quegli anni è ancora presente in tanti ragazzi che giocano ancora».
Alcuni, Ciotola li ha poi allenati nei 'grandi”: «E molti, nonostante la giovane età, erano in qualche modo da esempio per serietà e impegno. Io credo che ci siano tanti ragazzi bravi a Piacenza e provincia, occorre avere più coraggio nel lanciarli, nel farli giocare, nel permettere loro di sbagliare e di imparare. E smettiamola di parlare male delle nuove generazioni: i problemi non mancano, ma ci sono tanti giovani che sono impegnati nella scuola, nello sport, nel volontariato. E che appena hanno un minuto vanno al campetto a giocare con i compagni perché vivono ancora l’essenza del vero calcio».
Ne esistono di due tipi.
Innanzitutto coloro che, per volontà o quasi per caso, si trovano a essere mister del proprio fanciullo.
«A me non è ancora capitato spiega Massimo Ciotola, attuale allenatore della Castellana Fontana, prima alla Bobbiese e nel settore giovanile del San Giuseppe - ma non escludo a priori che in futuro possa accadere con Lorenzo. In generale, penso che a fare la differenza sia sempre la correttezza delle persone: se si accetta di allenare proprio figlio, bisogna sapere che si avranno tutti gli occhi addosso e l'unico modo per evitare le polemiche è trattare tutti allo stesso modo. Le mie parole d'ordine sono sempre state regole e meritocrazia, basta seguirle e tutto funziona, soprattutto fuori dal campo».
C’è poi il capitolo degli allenatori-genitori che vanno a vedere le partire dei propri figli, in particolare quando sono nel settore giovanile.
In questo caso, viene la tentazione di intervenire, dare consigli, spiegare qualcosa che rischia magari di essere in contraddizione con il “vero” mister del ragazzo? «Sinceramente la tentazione c’è, ma vale per tutti i genitori - risponde Ciotola - ma anche in questo caso serve intelligenza. Io vado molto volentieri a vedere Lorenzo, ma non mi sono mai permesso di intervenire, per rispetto di un mio collega. Così come non vorrei che qualcuno da fuori interferisse con il mio lavoro».
È umano, però, crearsi una propria idea: «Certamente, ma penso che per il bene di tutti, ragazzi per primi, sia meglio tenere i propri giudizi per sé. Mi è capitato di dovermi mordere la lingua, ma mai per ragioni tecniche o tattiche. Faccio fatica a stare zitto, ma ci riesco, quando vedo mancanza di rispetto e di meritocrazia, proprio come dicevo prima. E poi quando sento altri genitori inveire contro avversari, arbitro o addirittura qualcuno dei nostri». Questo in pubblico. A casa, invece? «Ora che mio figlio è grande (ha 17 anni, è di proprietà del Piacenza, ha giocato nel Gotico Garibaldina, ndr) - chiarisce Ciotola - mi piace molto parlare di calcio con lui, dargli anche la mia opinione su come ha giocato, sugli aspetti individuali che deve migliorare, fargli anche i complimenti. Ma sempre senza entrare nelle valutazioni che competono al suo mister, dalla formazione alla tattica».
Ciotola ha allenato tanti anni nelle giovanili del San Giuseppe: «Il responsabile Gianfranco Serioli ci aveva dato una regola d'oro: nessun rapporto personale con i genitori, solo incontri 'ufficiali” alla presenza anche dei dirigenti. Devo dire che era molto più semplice lavorare, senza tante pressioni esterne, se c’era qualche lamentela la gestiva la società. Sono orgoglioso divedere che l'impronta che abbiamo dato in quegli anni è ancora presente in tanti ragazzi che giocano ancora».
Alcuni, Ciotola li ha poi allenati nei 'grandi”: «E molti, nonostante la giovane età, erano in qualche modo da esempio per serietà e impegno. Io credo che ci siano tanti ragazzi bravi a Piacenza e provincia, occorre avere più coraggio nel lanciarli, nel farli giocare, nel permettere loro di sbagliare e di imparare. E smettiamola di parlare male delle nuove generazioni: i problemi non mancano, ma ci sono tanti giovani che sono impegnati nella scuola, nello sport, nel volontariato. E che appena hanno un minuto vanno al campetto a giocare con i compagni perché vivono ancora l’essenza del vero calcio».

