Immaginare un futuro diverso è possibile grazie ai videogiochi

I videogiochi possono alimentare la speranza? Possono aiutare le persone a immaginare un futuro differente? Ma, soprattutto, perché tutto ciò ci dovrebbe interessare? Partiamo proprio da quest’ultima domanda e facciamo un passo indietro nel tempo. Nel corso della storia, ci sono stati diversi momenti in cui ha prevalso un forte cinismo sul tempo presente, unito all’incapacità di immaginare un futuro migliore. Sottolineo la parola “immaginare”. Non si parla di “sognare” un mondo migliore, perché significherebbe già riuscire a figurarselo nella propria mente. Per cui, tantomeno, non sarà possibile ragionare su come realizzare questo futuro. L’ascesa dei totalitarismi novecenteschi è stato probabilmente uno dei momenti più caratteristici di questa tendenza. Ci sono mille ragioni, dietro all’ascesa di Adolf Hitler e degli altri dittatori, ma almeno una di esse risiede proprio qui. Il presente, cupo e opprimente (crisi economica, strascichi della guerra e molto altro) veniva ulteriormente demolito dal cinismo, a colpi di satira e sarcasmo. E nessuno riusciva a immaginare una nuova strada per costruire un futuro. Lo ha fatto Hitler, con il suo folle progetto. Per fare un esempio più recente potremmo parlare della sempre più (comprensibilmente) diffusa “ecoansia”: la paura per il cambiamento climatico. Essa risulta così angosciante per molti proprio perché non si riesce a immaginare delle soluzioni nuove. I movimenti per la difesa dell’ambiente optano su alcune modifiche della realtà attuale, riducendo i consumi, aumentando l’energia rinnovabile, ecc. Ma sottotraccia si sente il bisogno di un cambio di paradigma. Qualcosa che proponga una soluzione del tutto inedita a cui nessuno ha ancora pensato, perché non riesce a immaginarla.

Cosa c’entrano i videogiochi, con tutto questo? Sono un modo per stimolare la creatività, nonostante venga spesso detto il contrario. La creatività è ciò che ci permette di osservare le cose da un altro punto di vista, di trovare soluzioni inedite, di provare a percorrere strade differenti, perché si è in grado di immaginarle. Il videogioco (o, se non altro, alcuni videogiochi) offre diversi modi per sperimentare tutto ciò, senza che uno se ne renda neanche conto. Bisogna trovare soluzioni inedite per superare gli ostacoli che ci si trova davanti, pensare fuori dagli schemi.

Teoricamente, questo sarebbe lo scopo primario dell’educazione: offrire non solo conoscenze e competenze, ma anche abituare gli studenti ad approcciarle in modo nuovo, a rielaborarle, a cogliere qualcosa che non è scritto nel libro di testo o nelle slide del professore. Spesso questo compito non viene raggiunto, anche perché è oggettivamente una sfida molto difficile. Ma se, nel tempo libero degli studenti, altre attività fossero almeno in parte in grado di compensare questo processo? Il potenziale educativo dei videogiochi è ormai ben noto ed è stato scritto molto sull’argomento.

Da libri ormai classici come quello di James Paul Gee (Come un videogioco, insegnare e apprendere nella scuola digitale, pubblicato in Italia nel 2013) a pubblicazioni più recenti come quella di Alessandro Soriani (Vite extra. Educare a una cultura del videogioco, 2024), si trova molto sull’argomento anche in lingua italiana. Uno degli aspetti più curiosi che viene sottolineato da questi testi è che non servono dei videogiochi esplicitamente educativi, per imparare qualcosa. Anzi, a volte questi ultimi sono un po’ noiosi, troppo concentrati su motivazioni estrinseche (il fatto di dover imparare qualcosa).

Per cui, se i videogiochi stimolano un approccio creativo ai problemi, e la creatività aiuta a immaginare futuri differenti, anche il medium videoludico può essere una leva verso il cambiamento. Questo in termini generali. Poi ci sono situazioni più specifiche, in cui la speranza nel futuro è esplicitata nella storia che quel videogioco racconta. Il “lieto fine” in cui il mondo viene salvato non è ovviamente una novità, lo si trova in quasi tutte le storie più amate del cinema e della letteratura.

Ma in un videogioco siamo noi ad agire in prima persona. Non ci limitiamo a vedere Luke Skywalker, Frodo o Harry Potter (o qualsiasi altro famoso eroe vi venga in mente) che salvano il mondo. Noi controlliamo le azioni di quel personaggio, noi “siamo” quel personaggio, almeno finché restiamo immersi nel gioco. Abbiamo agency, ovvero ci viene data la possibilità di lasciare un impatto significativo sul mondo. Cosa di cui spesso ci sentiamo privi, nella nostra quotidianità.

di Francesco Toniolo

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