Medici senza frontiere, ostetrica piacentina in Africa tra povertà e pandemia

29 Aprile 2021 08:30

Nel 2016 la piacentina Benedetta Capelli ha incontrato Medici senza frontiere e, da allora, non ha più lasciato l’organizzazione internazionale. A soli 31 anni, la giovane ostetrica ha all’attivo otto missioni. Dopo la prima esperienza in Repubblica Democratica del Congo, la piacentina è salita sulle navi nel Mediterraneo per aiutare i profughi, poi si è spostata in Iraq, in Repubblica Centrafricana, di nuovo nella Repubblica Democratica del Congo per un progetto sull’ebola, in Sud Sudan, in Grecia ancora a supporto dei migranti e, dal luglio scorso, è tornata a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dove Medici senza frontiere supporta strutture di maternità. L’obiettivo è quello di ridurre le malattie e i decessi per complicazioni ostetriche, nonché le conseguenze di pericolose interruzioni di gravidanze clandestine, una delle principali cause di decesso tra le donne nelle strutture di maternità.

Come mai ha deciso di proseguire l’esperienza con Medici senza frontiere? Perché mi sono resa conto che mi piace molto, mi ritrovo in linea con i principi di questa organizzazione e poi semplicemente perché mi piace il lavoro che sto facendo.

Quali sono i problemi attuali in Repubblica Centrafricana? Il primo è la mancanza di un sistema sanitario che supporti la popolazione: la maggior parte delle complicazioni ostetriche in altri Paesi sono evitabili, purtroppo qui si arriva sempre un po’ tardi e il tasso di mortalità è ancora alto. L’altro problema è la pandemia da Covid: si sta registrando un aumento dei contagi e questo sta impattando sui progetti di Msf. Altri problemi riguardano la mancanza di risorse e quella di vaccini. Inoltre qui, come in altri Paesi, una parte della popolazione non ha accettato la pandemia, la gente è abituata a far fronte a epidemie di morbillo, colera, ebola, a conflitti, inondazioni, ma per ora il tasso di mortalità non ha ancora convinto parte degli abitanti sulla gravità della situazione. Al momento le morti per malnutrizione o malaria restano superiori a quelle per Covid.

La pandemia come ha cambiato il vostro lavoro? Abbiamo vissuto due ondate, una la scorsa primavera mentre la seconda è arrivata adesso. Nella prima c’è stata la riduzione dello staff internazionale e la sospensione temporanea degli approvvigionamenti, quindi non riuscivamo a far fronte a tutti gli impegni e questo ha avuto conseguenze su tutte le attività. Per quanto riguarda il progetto di salute riproduttiva che abbiamo qui, è dedicato ai parti, pertanto abbiamo sempre avuto la disponibilità di anestesisti, ma va tenuto conto che non vengono impiegati per le epidurali come in Italia, ma per i cesarei, perché l’epidurale non è un trattamento salvavita.

Quali sono le regole imposte per far fronte alla pandemia? Rispetto alla prima ondata la gente è più attenta all’utilizzo della mascherina e all’igiene delle mani. La distanza invece è più difficile da rispettare, soprattutto nel privato, perché le case sono piccole e le famiglie numerose, nella stessa stanza dormono anche otto persone. Nelle strutture sanitarie supportate da Msf stiamo cercando di implementare le misure anticontagio. Il coprifuoco è alle 20, ma più che al Covid è legato alla sicurezza, perché dopo le elezioni di dicembre ci sono stati anche scontri.

Si sente sicura in un contesto conflittuale? Mi sono sempre sentita al sicuro. La pietra miliare della nostra organizzazione è garantire cure gratuite a persone che hanno difficoltà ad accedere al sistema sanitario, questo viene riconosciuto ed è molto importante.

Ha contato quanti bambini ha fatto nascere? No, non ho tenuto il conto, ma ricordo bene alcuni casi difficili che hanno avuto un lieto fine e purtroppo anche altri che non lo hanno avuto.

Da qualche anno ha un nuovo ruolo come referente medica di progetti, in cosa consiste? Mi occupo di più della parte strategica, della gestione della farmacia e dello staff, quindi meno bimbi e meno mamme ma cerco sempre di passare da loro per ricordarmi da dove vengo e dove sto andando.

Tornerebbe in Italia a lavorare? Per adesso torno solo per le vacanze, al momento penso di poter dare di più a livello lavorativo in questi contesti.

Cosa le manca di più dell’Italia? Mi manca la mia famiglia, mia nipote di sette mesi e il cibo: appena tocco il suolo straniero ho molta nostalgia di anolini e tortelli.

IL SERVIZIO DI NICOLETTA MARENGHI

 

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